8 - LASCIA FARE A ME

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«Tu hai il cervello che ti galleggia nella merda. Dillo... così almeno riuscirò a spiegarmi il motivo della tua idiozia.»

«Cerchi rogne? Vuoi un pugno di prima mattina?» fissai torvamente Takeru che in tutta risposta ignorò il mio sguardo carico di sonno, false minacce e forse qualche tic nervoso.

Ero stanca, stressata, insonne e prossima all'isteria.

Insomma, di bene in meglio.

Allungai una mano cercando di afferrarlo per la giacca ma lui riuscì a sgusciare via prima che riuscissi a prenderlo. «Non mi toccare. Non voglio esser contagiato dalla tua stupidità.»

«Sei proprio un giappo-mostro!»

«E tu una pazza! Pazza come la merda!» Sembrava davvero contrariato.

Frignai quando Takeru mi assestò un pugno in testa e mi afflosciai sul banco frustrata. «Da quando sei diventato così cattivo con me, Take?» Sembravamo cane e gatto, sempre lì a bisticciare. Poi bastava che non ci sentissimo per un giorno per preoccuparci l'uno dell'altra.

«Zitta, stupida!» Lasciò cadere le proprie cose sul banco e mi fissò trucemente. «Dopo quello che è successo ieri sera... te ne esci con questo?» Sventolò il bigliettino dell'annuncio che avevo fregato in sala docenti.

«Zitto! Zitto, maledetto giappo-minchia!» Glielo strappai di mano ficcandolo con frenesia nella tasca dei jeans. «Vuoi forse farmi beccare? Già che ci sei perché non vai a urlarlo in faccia ai professori, eh?»

Incrociò le braccia al petto e scosse la testa con disapprovazione. «No, Rob. Non mi piace per niente questa storia. Proprio per niente.»

«C'è qualcosa che ti è mai piaciuto nella vita, Mr.Pessimismo?»

Si mosse inquieto sulla sedia voltandosi per fronteggiarmi. «Questa è una pazzia.»

«E tu mi aiuterai.»

«Col cazzo, Rob! Col cazzo!»

Assunsi la mia più spregevole espressione da cane bastonato e lo fissai più affranta di un cucciolo abbandonato in tangenziale. «Mi odi così tanto?» frignai, più falsa delle banconote del monopoly.

Roteò gli occhi alzandoli verso il soffitto ormai esasperato. «Guarda che lo dico per te, eh! Sappiamo chi è? No! Cosa conosciamo di questa persona? Niente! Abbiamo solo una misera email e un nome. Non abbiamo nemmeno il cognome, ti rendi conto?» Allargò le braccia emettendo un sibilo. «Dannazione, Rob! Sono solo preoccupato. Potrebbe essere chiunque... da uno dei nostri docenti a un maniaco depravato. Alla fine la bacheca docenti è aperta a tutto il personale scolastico, quindi sia docenti che bidelli. Senza contare che qualcuno di esterno potrebbe averlo chiesto come favore a qualcuno che lavora qui.»

Misi il broncio. Aveva ragione. Per quanto tentassi di ignorare la cosa, sapevo perfettamente che le preoccupazioni di Takeru erano più che fondate. Io stessa mi rendevo conto che era una follia, eppure, il tempo stava scadendo e io avevo spulciato e chiamato ogni annuncio possibile. Al momento non c'erano appartamenti liberi o comunque non abbastanza economici per le mie tasche povere.

Insomma, quella era l'ultima spiaggia. In alternativa avrei dovuto pensare a come annunciare il mio ritorno a casa O'Neil. Probabilmente mio padre si sarebbe rinchiuso nel suo studio e mia madre si sarebbe data all'alcol accogliendomi con la sua tipica parlantina da sbronza, grazie alla quale non mancava mai di sottolineare le innumerevoli motivazioni per cui mi avevano allontanato da loro e, soprattutto, i motivi del loro disprezzo nei miei confronti.

Tamburellandomi la penna sulle labbra presi a scarabocchiare il banco. Era inutile prendersi in giro: avevo fallito. Anche questa volta non ero riuscita a raggiungere l'obiettivo che mi ero prefissata. E dire che volevo soltanto ripartire da zero. Sbuffai. «Allora non ho altre alternative, Take. Me ne dovrò tornare a New York... non posso certo appoggiarmi per l'eternità da qualcuno di voi, anche se magari me lo permettereste.»

Corrucciò la fronte e mi bloccò la mano con cui ancora stavo scarabocchiando. «Diamine! Certo che se me lo dici con questa voce...» Mi afferrò una ciocca di capelli e se la rigirò tra le dita, lisciandola e portandosela al viso per sentirne il profumo. Era un gesto che mi ricordava Adam. Mio fratello aveva un debole per i miei capelli e spesso quando era nelle mie vicinanze sentiva la necessità di toccarli. A volte gli piaceva perfino crearmi acconciature. «Però come la mettiamo con il fatto che cercano un coinquilino maschio?»

Restai un attimo in silenzio poi gli sorrisi. «Lascia fare a me» dissi, mostrandogli furbescamente la lingua. «Che dici, oggi ci vediamo da te?»

Annuì, ancora totalmente perso nei suoi timori così gli passai un braccio attorno al collo e tirandolo verso di me gli infilai una mano nei capelli. «Cazzo, Rob! I capelli, no!» squittì lui, dimenandosi come un'anguilla. E finalmente tornò a sorridere.

Problema Pericoloso - Scorpion Queen (vol.1) Dove le storie prendono vita. Scoprilo ora