Lattner ci aveva accompagnato fuori dal Missan poco dopo aver incaricato i bidelli di ripulire ogni cosa.
Aveva fatto il nome di Sullivan e quindi nessuno aveva domandato niente.
La gente sa chi è bene e chi non è bene infastidire. E la famiglia Sullivan, ricca, potente e influente; era il perfetto esempio di quelle famiglie contro cui è bene non finire mai.
Il padre giudice esercitava pressioni a destra e a manca, faceva il bello e il cattivo tempo, elargiva favori pretendendo un certo asservismo. Il figlio cresceva bene calcando i suoi passi, godeva di trattamenti privilegiati un po' ovunque e le sue azioni riprovevoli finivano come sempre nel dimenticatoio.
Perfino il Direttore del Missan – che con me si era dimostrato un gran stronzo – chiudeva un occhio, se non tutti e due. Tutti tenevano al proprio posto di lavoro e si sa, andare contro un Sullivan, voleva solo dire guai.
Chi ha detto che soldi e potere non fanno la differenza, non ha mai avuto a che fare con tipi del genere.
«Come stai?» domandò Lattner, mentre parcheggiava l'auto sotto casa. Quando guidava si toglieva la fasciatura. Spense il motore, tirò il freno a mano e si voltò in mia direzione. «È da quando siamo usciti dall'ospedale che non hai detto una parola.» Allungò una mano a carezzarmi la testa e mi concessi il lusso di socchiudere brevemente gli occhi. Il suo tocco era caldo, gentile e confortante.
Eravamo rimasti in ospedale con Takeru fin quando ci era stato possibile. I suoi genitori erano arrivati quasi subito e avevano pianto mentre i medici lo visitavano e lo medicavano.
Prognosi complessiva: un dito rotto, un trauma al torace con conseguente costola incrinata, due punti dati al labbro spaccato e altri due a un sopracciglio, lividi e tagli ovunque, edemi a non finire, diverse contusioni muscolari alle gambe e lo stiramento di alcuni muscoli nelle braccia.
Poteva andare peggio, gli avevano detto i medici. E io lo sapevo bene.
Mi strizzai le mani fasciate, pizzicando con tensione i bordi della benda e Lattner posò la sua mano proprio sulle mie. Le dita libere dall'ingombro della garza erano gelide, sentivo il netto contrasto col calore delle sue. Dentro le vene ancora mi scorreva una tormenta di neve. E nonostante gli sforzi, non ero ancora riuscita a calmare quella spiacevole sensazione che mi vorticava in petto. «A che pensi, Robin?»
Robin. Solo Robin. Niente ragazzina. Gliene fui grata.
«La gente a cui voglio bene finisce sempre per farsi male.» Era un dato di fatto. Una presa di coscienza.
Rimase in silenzio. Le labbra gli si assottigliarono in una linea dura. «Perché devi dire una cosa del genere?»
«Perché è vera. Purtroppo è la storia della mia vita. Tu, Takeru... pagate lo scotto per starmi vicino. Mi sembra di tornare indietro di anni.»
«Nessuno obbliga me e Ogawa a restarti a fianco. Se lo facciamo è perché lo abbiamo scelto, no?»
Già. E invece dovrei obbligarvi a lasciarmi sola.
Quando sono sola nessuno si fa male.
Mi abbandonai contro il sedile dell'auto e guardai il tettuccio come se potesse ispirarmi chissà quale grande rivelazione. «Tu sai perché sono qua a Detroit, vero?» domandai invece, d'un tratto.
Ero certa che si fosse informato. Non tanto in quanto Mr.Lattner, professore del Missan college; quanto più come motociclista. Speravo non gli fosse bastata la verità che veniva raccontata dentro il fascicolo scolastico. Anche se non lo avevo mai letto ero certa che non fosse la mia, di verità; ma semplicemente quella che veniva sparsa in giro.
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Problema Pericoloso - Scorpion Queen (vol.1)
RomanceRobin O'Neil ha fatto molti errori nella sua vita. È caduta, si è rialzata e ha imparato cosa vuol dire pagare a proprie spese gli sbagli commessi. Ripudiata dalla famiglia e allontanata da casa è stata spedita dai genitori al Missan College: uno de...