15 - DIMMI IL TUO NOME

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La mia prima esperienza da coinquilina non era andata proprio come me l'aspettavo. In soli trenta minuti ero riuscita a coprirmi di ridicolo agli occhi di Lattner ed era stato un miracolo che fossi scampata da quella situazione senza rischiare di mandare tutto all'aria. Bé, in realtà da brava allocca gli avevo rivelato il mio posto di lavoro e questo non era affatto un bene. Ora c'era il rischio che gli venisse l'idea di fare un salto a trovarmi e a quel punto avrebbe scoperto immediatamente che Robert non era propriamente un maschio.

Se mi andava bene potevo ancora sperare che mi prendesse per un travestito. Insomma, quale ragazzo sano di mente indosserebbe un completo da lavoro molto simile a quelli dei maid cafè?

Questa farsa sembrava un fallimento su tutti i fronti, ancor prima d'iniziare.

Eppure ci provavo. Ci provavo con tutta me stessa a non agitarmi in sua presenza ma era più forte di me. Nonostante le mie innumerevoli esperienze amorose e la scioltezza con cui riuscivo a rivolgermi agli uomini dalle più disparate età, Lattner mi agitava. Mi agitava, punto.

Indubbiamente la combo giovane affascinante e professore riusciva a sortire effetti devastanti nella mia povera psiche già totalmente annacquata.

Era una debolezza che dovevo assolutamente farmi passare, altrimenti la convivenza sarebbe diventata un inferno. E a me bastava già il mio girone personale in cui trastullare le mie sinapsi.

Un piatto mi scivolò dalle mani e potei solo seguirne il percorso fino a terra, dove cadde andando in mille pezzi e riportandomi finalmente presente. Sobbalzai sul posto e subito scesi a raccoglierne i cocci.

«Ehi, Robin... è tutto okay? Mi sembri assente stasera» la voce di Nate arrivò proprio dietro di me. Strinsi le spalle arginando un brivido e mi voltai per rassicurarlo. Nel frattempo lui era già chino in terra ad aiutarmi.

«Scusami... oggi ho un po' la testa altrove.»

«Diavolo! Per chiedermi scusa deve trattarsi di qualcosa di grosso» ironizzò.

Sorrisi. A volte Nate era uno stronzo coi fiocchi, altre sapeva alleggerire la tensione che io stessa riuscivo a crearmi da sola. «Penso di sì.»

«È per via della nuova casa?» domandò, andando a ripescare proprio un argomento su cui non volevo mettere bocca.

«Cosa? No... non credo... cioè, più o meno... ecco...» Come spiegarglielo? «Ahia!» Ritrassi di scatto la mano, fissando la goccia di sangue sulla punta del dito. Per un attimo mi sembrò come di aver un piccolo cuore al posto della ferita. Pulsava con forza e bruciava con tenacia.

«Ah, diamine! Dà qua... fa vedere. Sei proprio una tonta.» Nate mi afferrò la mano portandosela in grembo ed estrasse dal taschino del grembiule un cerotto.

«Certo che sei proprio attrezzato, eh?»

Rise. «Diciamo di sì. Sai, finisco sempre in situazioni in cui mi servono delle medicazioni urgen-» Sgranò gli occhi e tacque, tagliando la frase a metà. Lo vidi mordersi il labbro e distolse lo sguardo dal mio, sfuggendo al mio silenzioso interrogatorio. Aprì con delicatezza l'involucro e tergendomi con il grembiule il polpastrello applicò il cerotto. «È perché sono pa – parecchio imbranato» farfugliò, stringendomi leggermente il dito in modo che il cerotto aderisse perfettamente.

Medicazioni urgenti, eh?

Parecchio imbranato o un teppista a caccia di guai?

«Non l'avrei mai detto. Mi sembri un tipo tutto d'un pezzo... uno che sa il fatto suo.»

Nate schizzò in piedi lasciandomi come uno stoccafisso in terra. Da quando mi aveva chiesto di uscire non come semplici colleghi la tensione tra noi sembrava schizzata alle stelle. «Fo – forse avrei dovuto darci un po' di alcol prima... non te l'ho disinfettato» borbottò iniziando a pulire dei piatti che già avevo pulito.

Problema Pericoloso - Scorpion Queen (vol.1) Dove le storie prendono vita. Scoprilo ora