34 - BUGIE CATTIVE

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Alla fine avevo dovuto fare per davvero un check-up completo.

Lattner non ne aveva voluto sapere di mandarmi a casa prima che mi visitassero e si assicurassero che fosse tutto a posto. Aveva perfino insistito affinché mi facessero passare prima di lui.

Lo ammetto, fu un gesto molto carino.

Senza accorgermene, gli ero stata davvero al capezzale. Ma lui sembrava essersi chiuso in uno strano mutismo dopo ciò che era successo sul tetto.

Non lo capivo.

Non capivo se era arrabbiato per qualcosa o in imbarazzo.

Ogni volta che mi giravo a guardarlo lui distoglieva lo sguardo, quasi sfuggisse dai miei occhi.

Era frustrante.

Quella giornata mi era sembrata bizzarra dall'inizio alla fine. Perfino l'iter con i medici mi aveva lasciato perplessa. Quando erano venuti a parlargli delle sue condizioni non aveva insistito per farmi uscire e loro avevano dato per scontato che fossi una parente, se non la fidanzata.

E questo era stato molto, molto imbarazzante.

Ci eravamo perfino tenuti per mano, sì. Il momento più scottante di quella simpatica e divertente gita.

Me l'aveva presa quando il dottore aveva iniziato a manipolargli la spalla. Forse istintivamente, forse per aver un appiglio su cui scaricare il dolore; sta di fatto che avevo ricambiato quella stretta senza nemmeno oppormi, come se fosse la cosa più naturale in assoluto.

Comunque stava bene. Non sarebbe morto. Aveva trovato le forze perfino di ironizzare quando gli avevano chiesto di spogliarsi, chiedendomi se volevo restare per essere la sua personale infermiera.

Ero schizzata fuori dalla stanza in tempo zero, con il viso in fiamme e le palpitazioni.

Stupido Lattner!

Fortunatamente si sarebbe ripreso in fretta. La lussazione non gli aveva lesionato nulla anche se gli era stato prescritto un ciclo di antidolorifici e uno di antiffiammatori, tre settimane di braccio a riposo con tanto di fasciatura a spalla e dopo, un ciclo riabilitativo di un mese.

I movimenti da fare senza fascia al braccio dovevano essere evitati almeno per la prima settimana, non dovevano essere prolungati, né affaticarlo troppo.

Era andata meglio di quanto sperassi.

Il dottore gli aveva detto che era stata una fortuna fosse un tipo allenato in diverse discipline e soprattutto facesse parkour; i muscoli erano abituati e fortificati abbastanza da non subire gravi lesioni con una performance come quella del tetto.

Io nemmeno sapevo facesse parkour.

Almeno ora mi spiegavo dove andava ogni mattina presto con Märten.

Certo, avrei dovuto immaginarlo. Il fisico che avevo sbirciato al Count era di tutto fuorché di uno che poltriva; il petto, gli addominali e i muscoli gonfi delle braccia non uscivano certo stando seduti a mangiare patatine.

E il piercing al capezzolo? Non dimentichiamocelo.

Rabbrividii.

«Rob! Eccoti! Allora sei qui.»

Sussultai. Ero ferma davanti alla finestra della mia camera da ormai un tempo indefinito.

Mi ero persa nei pensieri e avevo finito per estraniarmi come mio solito.

Quando eravamo usciti all'ospedale a sera inoltrata ci eravamo divisi e io ero tornata a casa vestita da Robert molto tempo dopo il suo rientro, per non destare sospetti, anche se avevo scordato la fascia contenitiva e indossavo ancora il mio reggiseno. Bé, poco male... perché avevo una tuta enorme.

Problema Pericoloso - Scorpion Queen (vol.1) Dove le storie prendono vita. Scoprilo ora