33 - DOTTORESSA ROB

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Il nulla. Il vuoto.

Il corpo che cade senza più peso, che si perde, che svanisce.

Leggera com'ero mai stata prima. Vuota come sempre.

Che ne sarebbe stato di me?

«Robin!» Il grido di Lattner, così confidenziale e spaventato, mi fece sgranare gli occhi di botto.

Lo vidi lanciarsi nel vuoto senza alcuna esitazione, cingendomi la vita con un braccio. Serrò la presa con forza, togliendomi il fiato. Fu doloroso.

Un secondo dopo i nostri corpi rimbalzarono, gli occhiali gli saltarono via sprofondando di cinque piani e perdendosi chissà dove. Sentii il rinculo del contraccolpo, uno schiocco rumoroso che tranciò quel silenzio pesante e vidi che si era aggrappato alla ringhiera con la mano libera.

Reggeva me e se stesso, appesi nel vuoto. Appesi sul tetto del Missan.

Dalle labbra gli sfuggì uno sbuffo sofferente, serrò i denti sopportando il peso morto di entrambi con un gemito.

«Mr.Lattner! Mr.Lattner! O'Neil!» I compagni gridavano. Si allungavano dalla ringhiera per afferrarci, per tirarci su. Era stato tutto così veloce, così intenso, così spaventoso.

Tutto successo in un attimo. Tutto in un baleno.

Lattner mi aveva salvato.

Si era buttato.

Si era lanciato nel vuoto, da un tetto, dal quinto piano, col rischio di schiantarsi al suolo pur di salvare me.

Me. Ha salvato me.

Quando ci issarono sul tetto crollammo a terra. Mi veniva da vomitare, da piangere. Mi girava la testa. Le mie braccia tremavano come se non riuscissero a sostenere il peso del mio corpo, avevo la vista appannata.

«Sei stupido?» gridai, furiosa, sbattendo le mani in terra per riprendere la sensibilità degli arti; mi formicolavano. «Eh? Sei forse stupido?»

«È troppo faticoso per te ringraziare una buona volta?» domandò lui, con un sorriso che si trasformò in una smorfia non appena si cercò di muovere.

«Grazie. Sì. Grazie al cazzo!» gridai, ancora più furiosa. Ero arrabbiata sia con lui che con me stessa. Soprattutto con me stessa e la mia disattenzione. A causa mia avevamo rischiato grosso. Sentivo il cuore pompare freneticamente in petto, avevo ancora il respiro affannato. Tremavo. «Che diavolo ti è saltato in mente a buttarti in quel modo? Ti potevi ammazzare! Che diavolo hai pensato, eh?»

Girò la testa in mia direzione, era ancora steso in terra a pancia in su. «A niente. Non ho pensato a niente» rispose sinceramente, con affanno, gli occhi stretti a due fessure.

«E allora sei un coglione! Cazzo!» Mi coprii la faccia con le mani e scoppiai in singhiozzi. Non era da me. Non era da me piangere così, davanti a tutti. Eppure, non riuscivo a smettere. Non riuscivo a frenare le lacrime, i tremori, i singhiozzi e i sussulti del mio corpo. Non riuscivo a calmare il cuore che mi sembrava spaccato a metà, a placare la paura che mi toglieva il respiro, a mettere a tacere quelle voci che continuavano a gridarmi nella testa i peggiori scenari che ci sarebbero potuti capitare. Il terrore di vederlo cadere giù, insieme a me, era ancora vivo e doloroso.

Se cadevo io, mi stava anche bene. Ma lui... lui non doveva cadere, no.

Stupido. Stupido, Lattner.

La sua mano mi sfiorò una guancia. Con un pollice mi pulì un rivolo di lacrime. «Su, su... non piangere, ragazzina. O mi farai sentire in colpa.»

Problema Pericoloso - Scorpion Queen (vol.1) Dove le storie prendono vita. Scoprilo ora