28 - VERITA' DOLOROSE

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Il pranzo era stato veloce e silenzioso. Lattner aveva continuato a guardarmi di sottecchi senza proferire parola e questo mi aveva lasciato per tutto il pasto uno strano senso di tensione addosso.

Sembrava essersi concentrato sul cibo pur di non parlarmi, eppure ogni volta che sollevavo gli occhi, lo vedevo guardarmi.

E questo, credetemi, era un po' come buttare giù uno shottino di whisky ogni volta: scendeva in gola come se avessi ingoiato l'intero inferno ed esplodeva in tutto il corpo peggio di un incendio.

Aveva voluto pagare lui a tutti i costi e quando eravamo usciti dal ristorante sembrava aver perso un po' di quel suo mutismo. Aveva però ripreso a parlare solo in prossimità delle bancarelle, quando ormai ero convinta che senza accorgermene qualcuno gli avesse tagliato la lingua.

«Non mi hai mai raccontato nulla di te, Rob» disse d'un tratto, infilandosi in bocca due orsetti gommosi che ci eravamo fermati a comprare pochi attimi prima.

«Bé, non c'è molto da dire in realtà.»

Si fermò, immobile nel mezzo del flusso di gente, con la mano affondata nel sacchetto. «Lo dici perché non ti fidi di me?»

«Che? No, ma che dici!»

«Oh, bé... non so... magari non vuoi parlarmene perché sono uno sconosciuto. Insomma... capirei...» Si grattò la nuca distogliendo lo sguardo dal mio.

Se tutti gli sconosciuti fossero come te sarei nei guai, Mr.Lattner.

Scrollai le spalle, cercando di sembrare tranquilla. In realtà parlare del mio passato mi agitava. «È che... non so nemmeno da dove partire.»

«Semplice. Com'eri da piccolo?»

Scivolammo tra la folla, schivando i gruppetti di gente che occupavano la strada centrale; era così piena di bancarelle da far perdere lo sguardo. Fui costretta a ripescare nella cesta dei ricordi, alla ricerca di qualcosa di decente da tirare fuori. La me bambina era molto diversa da tutte le sfaccettature che avevo acquisito negli anni a venire. Invidiavo la spensieratezza che avevo un tempo. «Felice. Sorridevo sempre. Pensavo che mio fratello fosse il mio supereroe e i miei genitori fossero fortissimi, dei veri ganzi.»

Già, proprio dei veri ganzi!

Colse subito quella nota di ironia tagliente nella mia voce e sembrò incupirsi. «E poi?»

Estrassi una sigaretta dal pacchetto e me l'accesi sperando che la nicotina bastasse a placare quella tempesta che sentivo agitarsi nel mio petto. Parlare del mio passato era difficile, doloroso; eppure in un qualche modo glielo dovevo, a Lattner. Lui mi aveva portato da Samuel, doveva essergli costato parecchio. «Poi ho capito che i miei genitori non era affatto fortissimi, men che meno dei ganzi. Passai la maggior parte della mia infanzia a cercare la loro approvazione, che puntualmente non arrivava mai. Non ero mai abbastanza, mai all'altezza, mai come volevano loro.» Aspirai una boccata di fumo. «Sempre troppo impegnati con il lavoro, con gli affari, con gente di cui non avevano stima ma da cui l'ambivano, con... bé, con tutto ciò che non includeva me. Sembravo sempre un problema troppo grosso o troppo seccante da risolvere, una palla al piede che non dava altro che insoddisfazioni e non stava mai al passo con le loro pretese.» Con la coda dell'occhio vidi lo sguardo di Lattner farsi scuro, la mano lungo il fianco si strinse a pugno ma non disse nulla, lasciò che continuassi a parlare: «Finii per buttarmi in un giro brutto: gente sbandata, affari discutibili, azioni di cui mi pento... se ci ripenso, forse lo feci proprio per attirare la loro attenzione.» La mano mi tremò vistosamente quando me la portai alle labbra per prendere un'altra boccata di fumo.

Dannazione! Non volevo più sentirmi così fragile. Ero stanca di indossare questa corazza se poi sotto dovevo essere tanto debole e insicura. Volevo diventare forte. Più forte.

Problema Pericoloso - Scorpion Queen (vol.1) Dove le storie prendono vita. Scoprilo ora