Brooklyn Tech

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Quel giorno avrei voluto essere ovunque tranne che in quell'aula. Mi ero rifugiata in un banco laterale e guardavo fuori dalla finestra imponendomi di non crollare. Nemmeno mi sembravo io la ragazza riflessa nel vetro appannato: nei miei occhi castani vedevo un vuoto che rispecchiava in pieno la mia anima. Avevo pianto praticamente tutta la notte, avevo due grosse occhiaie violacee che a fatica erano nascoste dal correttore ormai sbiadito.

La matita mi bruciava ma cercavo di non toccarmi per non trasformarmi ancora di più nell'urlo di Munch.  Nemmeno il primo anno alla Brooklyn Tech era stato tanto difficile. Diciassette anni e mi sentivo come se ne avessi cento.  D'altronde perché piangersi addosso? Ero stata io a infilarmi quegli spilli come si fa con una bambolina wodoo, a uno a uno. Finsi di non vedere il gruppetto di ragazzi che entravano in classe in quel momento. Era tutto il giorno che li fuggivo. Ma quel gruppo era nato al corso della Castor, Advance Digital Modeling, li avevo conosciuti tutti lì, perciò che pretendevo?

Finsi di non vedere i loro occhi posarsi su di me. Respirai a fondo, ma mi sentivo soffocare. La professoressa sarebbe arrivata da un momento all'altro. Mi alzai in piedi di scatto e mi precipitai fuori dall'aula. Appena fuori, corsi alla finestra di fronte che dava sul cortile interno e la spalancai.  Senza più poter trattenere le lacrime, guardai la nebbia di quel mattino come tanti a New York. Il rumore del traffico e dei clacson in sottofondo. Quel tremore basso della metropolitana che passava molti piani sotto di me.

- Miss Rawnson cosa pensa di fare?- tuonò una voce severa nel corridoio. Mi asciugai gli occhi con le maniche del maglione, non avevo altro con me. Chiusi la finestra e mi ritrovai ad arrossire come una bambina di fronte alla professoressa che a grandi falcate camminava verso di me col suo passo da generale. Coi tacchi mi superava di quasi una spanna. 

- C'è molto caldo in aula - balbettai. Le bastò un'occhiata per capire che mentivo.

- Non poteva aprire una finestra dentro?- disse soltanto nonostante ciò. Io non osai rispondere, mi persi invece a guardare le tre persone che erano con lei. Come mai portavano gli occhiali da sole, in un edificio chiuso, con la nebbia di quella mattina?

La professoressa guardò un foglio che teneva in mano poi mi disse.

- Non ti muovere di un passo da dove sei - mi ordinò ed entrò in classe.  Da fuori si sentirono una serie di mugolii e poi il silenzio calò. Io rimasi inchiodata tremando. La Castor annunciò che avrebbero fatto un test a sorpresa. La classe per intero protestò.

- Non vi affannate a copiare, se vedo un disegno uguale all'altro do tre a entrambi - disse con voce ferma. Le tre figure all'uscita risero. Io non ci vedevo niente di buffo. Era capace di farlo. Scrisse alla lavagna il soggetto del compito quindi fece un profondo respiro. Sentivo i segnali sonori di accensione dei PC alternarsi a un brusio nella classe. Non lessi mai qual'era il compito. Non mi mossi. Nemmeno quando vidi l'unica donna dei tre che mi guardava. Vidi il suo sorriso scemare piano, piano. Non mi disse nulla, si aggiustò gli occhiali da sole, si mordeva il labbro con la lingua.

- Ci sono un paio di persone con cui devo fare i conti invece - aggiunse la Castor. La classe precipitò nel panico.

- Pensate che non mi si accorta che sui computer di questo laboratorio è stato installato Quake Arena? -  aggiunse. Qualcuno fece qualche risatina. Io chiusi gli occhi: ora capivo cosa c'era in quella lista. Mi maledissi per il giorno che avevo dato retta a quei cretini. Ora sarei finita anche io nella loro punizione. E per cosa poi? Nemmeno mi parlavano! Lesse i nomi a voce alta guardando il foglio. Respirai a fondo. Li vidi alzarsi a uno a uno. Avvicinarsi alla cattedra. Loro erano stati la mia bolla, ma ormai avevo gettato tutto al macero, non si poteva tornare indietro. Non potevo rimangiarmi quello che avevo scritto. Quando uscirono una alla volta abbassai lo sguardo a terra.

Matrix the endDove le storie prendono vita. Scoprilo ora