13. "Che hai da guardare?!"

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" 'Possiamo perdonare un bambino quando ha paura del buio. La vera tragedia della vita è quando un uomo ha paura della luce' , ci dice Platone. Secondo voi, che cosa vuole dirci con quest'affermazione?", domanda il professor Beckham alzandosi in piedi e scrutando la classe.

Una ragazza dai capelli rossi alza la mano di scatto.

"Si, Sarah?"

"Secondo me, Platone vuole dire che un bambino può aver paura del buio perché è piccolo, ma un adulto no", afferma la ragazza, fissando il professore in cerca di una conferma che quello che ha detto è vero.

"Si, in parte è vero, ma la cosa è più profonda di come sembra. Qualcun altro?", chiede, spostando lo sguardo tra tutte le espressioni annoiate dei presenti.

"Cassidy? Come mai sei così silenziosa?", dice all'improvviso,e quando alzo lo sguardo, noto che mi sta fissando, seguito da tutti gli altri.

"Scusi, ero solo... distratta", mi giustifico, cercando di stabilire i miei pensieri.

"Cosa ne pensi della citazione di Platone?", domanda speranzoso, con gli occhi che raccontano una vita piena di difficoltà, quella che probabilmente ha vissuto.

Cerco di non far caso a tutti gli sguardi in attesa dei presenti, ed elaboro una risposta con un minimo di senso.

"Secondo me, Platone intende che la paura di un bambino nei riguardi del buio è in qualche modo giustificata, perché è piccolo e può aver paura. Ma un uomo che ha paura della luce, significa che ha paura di vivere", ammetto, scrutando l'espressione corrucciata del professore, che sembra stia analizzando ogni mia singola parola per cercarvi un significato.

Annuisce senza dire una parola e torna a sedersi alla sua cattedra, aiutandosi di tanto in tanto appoggiandosi al banco per non farsi trascinare dalla vecchiaia che comincia a farsi sentire.
Dopo qualche secondo di completo silenzio nell'intera classe, domanda:

"Hai paura del buio, Cassidy?"

Quella domanda mi lascia senza parole, e neanche poco.
Nessuno mi aveva mai chiesto una cosa del genere, neanche un membro della mia famiglia, e non me la sarei mai aspettata da un mio professore.
Mi sta osservando come se fossi un oggetto curioso.

"Onestamente, credo di averne un po', per diversi motivi. Quando è tutto buio, non c'è differenza da quando apriamo gli occhi e quando li chiudiamo, perché sempre il nulla vediamo, e ci sembra di essere ciechi. Questa è una cosa che mi ha sempre spaventata. E poi, ho paura del fatto che, se qualcuno dovesse venire, io non lo vedrei. Qualcuno potrebbe essere lì accanto a me, con buone o cattive intenzioni, ma io non saprei vederlo, e questa cosa mi spaventa", ammetto, incerta per le parole che ho usato, se sia riuscita a spiegare al meglio quello che provo.
Di solito non mi piace parlare delle mie paure, ma queste cose mi affascinano, e ci metto tutta me stessa, difetti o meno.

Ancora una volta, il professore rimane abbastanza perplesso dalle mie parole, ma non ribatte.

"E la luce? Ti spaventa?", domanda, guardandomi negli occhi, e incutendomi molta soggezione.

"Immagino di sì. Ma credo che non dovremmo temerla, perché alla fine fa parte di noi.
Le paure sono una constante nella vita di chiunque, e questo, spesso, mi fa sentire meno sola nel mondo", dico.

Il professore annuisce ancora una volta, e torna a guardare il resto della classe.

La campanella suona, ed esco dall'aula, diretta verso la mensa.
Spero di non incontrare Tyler, non ho affatto voglia di parlare con lui.

Dopo quel giorno, in cui ci siamo risvegliati insieme, le cose tra noi sono tornate quelle di prima.

Credevo davvero che quei due giorni avrebbero potuto cambiare tutto, avrebbero potuto cambiare me e cambiare lui, ma poi ho capito che non è così che si risolvono i problemi.
Perché i problemi sono di fondo.

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