49. Addio

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"Non preoccuparti cara, tu puoi restare.
Mi farebbe piacere fare due chiacchiere. Siediti", mi dice indicandomi la poltrona sulla quale poco fa era seduto Dan, e non posso fare a meno di fermarmi.

Io mi siedo in silenzio, con le mani in grembo, e leggermente imbarazzata.

Dopo qualche secondo, domanda curiosa:
"Come vi siete conosciuti tu e Tyler?"

Lo dice con un tono che ti fa capire che è molto dispiaciuta per non esserci stata per suo figlio in questi anni. Come se, ascoltando la nostra storia, riuscisse a sentirsi meno in colpa. Ed è davvero strano. Tyler si odia da anni per averla abbandonata, ma a quanto pare anche la madre fa lo stesso. Ognuno dei due cerca di prendersi la colpa, in modo che l'altro possa sentirsi più sollevato.

Vorrei raccontarle la storia dall'inizio, ma non posso certo dirgli che suo figlio faceva lo stronzo con me.
Ancora una volta, però, mi sorprende.

Ride, alla vista del mio più che evidente imbarazzo. "Tranquilla, tesoro, conosco mio figlio. Puoi parlarmene apertamente", mi tranquillizza con un sorriso di incoraggiamento.

"Beh, ecco... ". Inizio, mentre fisso i suoi occhi azzurri, come se mi aspettassi una sua reazione. "Quest'anno mi hanno cambiato alcuni corsi, e ci siamo ritrovati in classe insieme. All'inizio non era la persona più gentile del mondo con me, ma poi con il tempo ha cominciato ad aprirsi, e l'ho capito un po' di più. Solo che... "

Mi blocco di colpo, perché mi rendo conto che non posso dirle questa parte.
Che il problema ero io e quello che avevo vissuto.

Sembra turbata dalla mia interruzione della storia "Cosa c'è?", mi chiede piano, con l'espressione presa dal racconto.

Non so se parlargliene, anche se è una donna, ed è molto gentile con me, forse potrebbe capirmi. Mesi fa, mai mi avrebbe sfiorato la testa il pensiero di raccontare la mia vita ad una persona così... estranea per me. Ma, essendo mamma anche lei, credo che possa capirmi. Possa capire come mi senta.

"Ecco... Quando io e Tyler abbiamo cominciato ad avvicinarci, sono sorti dei problemi. Lui, ogni volta che ripensava al suo passato, alla sua famiglia, diventava freddo, mi escludeva".

Una smorfia di dissenso si apre sul suo volto, accompagnata da un lungo sospiro. Mi sento improvvisamente stupida per la scelta di parole che ho usato." Diceva che non voleva includermi nel suo dolore, e io non ho lottato abbastanza. Ero troppo impegnata a chiudermi in me stessa, cercando di dimenticare qualcosa che cerco di lasciarmi alle spalle da anni.
Ed ancora adesso, non so se quello che sto facendo è giusto", ammetto, ed abbasso lo sguardo.

La signora May annuisce in silenzio, ma sembra pensarci un po'. Lo capisco dal silenzio che cala nella stanza, sta analizzando quello che ho appena detto.

Dopo qualche minuto di silenzio, mi chiede dolcemente: "Tu lo ami?"

Quella domanda mi sorprende, perché nessuno me l'aveva mai posta in modo così crudo, come se fosse perfettamente normale. Ma non ho dubbi sulla risposta. Si che lo amo, con tutto il mio cuore.

"Si", dico fermamente.

"E che cosa ami di lui?"

In realtà, non ci ho mai pensato.
Ma ora che lo faccio, mi vengono in mente così tanti motivi che non so da dove iniziare.

"Amo il modo in cui mi ha capita, rimanendo in silenzio. Mi è stato vicino quando nessuno c'era e mi ha tenuta in piedi quando non ce la facevo da sola. Era come se lo capisse da solo, perché io non avevo affatto bisogno di spiegarglielo.


Amo il modo in cui cerca di nascondere che soffre, che sta male, solo per non coinvolgere le persone intorno a lui nel suo dolore. Crede che sia l'unico modo, in qualche bizarro modo, che conosce solo lui, di fare in modo che le persone lo amino.

Non mi toccareDove le storie prendono vita. Scoprilo ora