3 - Il ritorno del figliol prodigo

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CLAIRE

Tornai a casa con le buste della spesa, dopo aver chiuso l'ufficio dell'agenzia e aver salutato i colleghi, decidendo se farmi una doccia prima della ronda o rimandarla a dopo.

Volevo parlare con Kit, erano due giorni che non lo sentivo e anche se la cosa era normale, visto che spesso era in trasferta per la società di trasporti per cui lavorava, mi mancava.
Mi mancava ogni volta, unica famiglia che mi era rimasta. Leona, sua madre, mi aveva praticamente adottato, dopo la morte dei miei e l'abbandono di Levi, quello stronzo, ma Kit era tipo la mia persona di fiducia.

Composi il numero, mentre sistemavo la spesa e aspettavo mi rispondesse.
"Ehi" dissi appena sentii la sua voce.
"Ehi, ti mancavo?" mi rispose beffarda la voce del mio migliore amico. Sapeva benissimo che era così.

"Forse" concessi, ero in preda ad una strana agitazione negli ultimi giorni e non sapevo con chi parlarne, ma poiché non capivo nemmeno io cosa effettivamente mi stesse succedendo, non sapevo davvero cosa avrei potuto dire.

"Sono tornati?" Una domanda semplice, ma che mi fece male come un pugno. Dopo l'incidente che era costato la vita dei miei genitori, avevo sognato, o meglio, avevo avuto incubi vividi come la realtà, che mi facevano rivivere la scena, ancora e ancora.
Ma da qualche mese, non era più così, non mi tormentavano più, ora che sapevo la verità.

Mi domandai se non fosse il caso di essere sincera con il mio amico.
"No" risposi tornando alla conversazione con lui "è che mi sento strana in questi giorni e"
"Ciclo?" chiese prendendomi in contropiede.

"Scemo! No, comunque" ribattei. "Mi sento come se stesse per succedere qualcosa ma non capisco cosa. Forse ho bisogno di una vacanza" borbottai sperando che Kit lasciasse perdere. Mi ero già pentita di aver intavolato il discorso.

"Torno domani, comunque. Vieni a cena da noi?"
Sorrisi. "Certo! Preparo una torta, va bene?"

"Andata! Ci vediamo tra poche ore piccola, mi racconterai tutto faccia a faccia, ok?"
Sospirai, non ero riuscita a fare in modo che lasciasse perdere. "Ti voglio bene" dissi con tutto l'affetto che provavo per lui.
"Anche io, piccola. Bacio."

Rimasi seduta al tavolo della cucina, il telefonino appoggiato sopra, lo schermo nero, finché non iniziai a sentire fame.
Mi preparai una bistecca, poi innaffiai i fiori.

Da quando a Mountain Falls si era insediato il padre di Douglas come sceriffo, le ronde anti lupo si erano infittite e tra le stupidissime regole imposte, quella che ogni casa della cittadina avesse almeno una pianta di Aconito era senza dubbio la peggiore.

Dato che lo Strozzalupo era deleterio per i lupi, lo sceriffo e la comunità benpensante credeva che fosse meglio dotare ogni famiglia di protezioni contro di loro. Era inoltre un modo per scoprire fin da subito se la persona che avevi di fronte era umana oppure no.
Molte famiglie tenevano le piante all'ingresso di casa, così che se per sbaglio un uomo lupo fosse entrato, sarebbe rimasto stordito e con il fiato corto, dando il tempo agli indifesi umani di caricare il fucile che avevano dato a 'corredo' delle piante e sparare a vista.

Barbaro. Io le piante avevo deciso di metterle fuori, sotto la grande finestra che abbracciava il salotto principale, con la vista sulle montagne. Avevo imparato da mamma a usare i fiori per preparare un infuso, quel benedetto té che bevevo fin da bambina, ma non volevo assolutamente rischiare di far soffrire Kit quando veniva a trovarmi e poi, ero più brava a sparare che a gridare.

Alla fine decisi di farmi una doccia prima di uscire di ronda, anche se poi dovetti farne un'altra al ritorno. Eravamo a metà del giro, quando da una radura del parco cittadino avevamo sentito provenire rumori strani. Ci eravamo avvicinati, per scoprire che erano due ragazzi che stavano scopando dietro un cespuglio. Passato l'imbarazzo però, era saltato fuori che la ragazza era la fidanzata del figlio del pastore e il ragazzo, era un lupo. Ce ne eravamo accorti tardi, quando lui aveva assunto la posizione di difesa e si era scagliato contro Doug per difendere la ragazza, che volevano portare al comando di polizia.
Ero riuscita a intercettare il balzo del ragazzo, che mi aveva artigliato un braccio, facendomi sanguinare. Avevo urlato agli altri di non intervenire, che avrei fatto da sola, perché non volevo che gli sparassero.
Lo avevo spinto fino al limitare del parco, cercando di farlo ragionare. Mi ero fatta dire il nome e avevo cercato di farmi spiegare da lui la situazione, anche se potevo immaginarla.

The hidden wolfDove le storie prendono vita. Scoprilo ora