22 - Avevo un certo talento per le bugie, chi l'avrebbe detto?

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CLAIRE

Quando finirono di prepararmi, non sembravo nemmeno io. La Divisione Tattica, non sapevo nemmeno ce ne fosse una, mi aveva impiastricciato per bene la faccia e il corpo, lavorando anche sulla mia ferita, che ora mi faceva un male del diavolo, ma finalmente ero pronta.

Pallida come una morta, indossavo una maglietta verde militare e un paio di pantaloni neri, simili a quelli che portavo quella sera, in cambio dei miei, per non sporcarli. Il viso esangue e i capelli spettinati completavano l'insieme.
Accettai l'antidolorifico che mi offrirono, prima di entrare, poi spinsi la porta della stanza degli interrogatori.

Il ragazzino non si accorse subito di me, ma quando finalmente voltò il viso verso di me, un lampo di genuino terrore mutò la sua espressione da ebete.
"Tu sei morta!" esclamò senza dubbio alcuno. Se non altro mi tranquillizzai, dato che speravo si riferisse a me, ma non ne ero certa, fino a quel momento.
"Così hai raccontato ai soldati che ti tengono qui, non è vero?" dissi tenendo la voce bassa, un sibilo che non raggiungeva appieno le corde vocali.
L'indomani avrei avuto un gran mal di gola, ma non m'importava.
"Io... ti ho vista, contro quell'albero, tu eri morta" disse con voce più bassa, come spaventato e decisi che linea adottare.
"Hai ragione, la mia ferita era parecchio grave. La vuoi vedere?" chiesi sporgendomi verso di lui e afferrando il lembo della maglietta, pronta a sollevarlo.
"NO!" stavolta fu un grido strozzato ad emergere da quelle labbra spaccate per la sete, o forse per le botte.
"Sai, io sono morta, ma a quanto pare qualcosa che mi hai detto quella notte non mi permette di passare oltre, se capisci cosa intendo. Ho un conto in sospeso con te e finché non avrò risolto, sarò la tua ombra."

A quelle parole il ragazzino sembrò ancora più impaurito e mi si strinse il cuore. Era figlio di un pazzo, un ribelle che lo aveva plagiato e probabilmente anche lui aveva qualche rotella fuori posto, pensai ricordando la furia che si agitava in quegli occhi, mentre mi parlava nel bosco, ma era pur sempre un ragazzino, un bambino.
"Che... che cosa vuoi?" domandò, più docile di quanto non pensassi.
"Voglio sapere delle cose" dissi nel modo più semplice possibile.
"Quali cose?"
"Mi hai detto che tuo padre ha ucciso Bronn e sua moglie, è esatto?" chiesi a fatica.
"Sì. Lui e altri due. Hanno fatto bene, era una spina nel fianco. Pretendeva che noi lupi convivessimo con voi stupidi umani" disse con disgusto. Non aveva davvero tutte le rotelle a posto, se ancora rispondeva a quel modo.

"Voglio i nomi. Anche i loro figli vogliono vendicare i padri?"
Conoscevo i nomi dei presunti assassini dei miei genitori, ma volevo sentirli da lui.
"Mio padre lavorava con Tony Emerald e Byron Dole" disse senza esitazione, stupendomi, visto che credevo avrebbe posto resistenza. Forse la prigionia lo aveva spaventato, o forse ero stata io.
Erano i nomi che ricordavo dal rapporto sull'incidente ai miei genitori, quindi non dubitai delle sue parole, ma non avevo idea se queste persone avessero a loro volta dei figli, invasati quanto il ragazzino che mi stava davanti.
"Sai, penso che farò un salto a trovare i loro figli" risposi, chinandomi su di lui "siete della stessa pasta voi, non è così?"
Avevamo tutti bisogno di sapere se gli altri di cui mi aveva parlato erano loro.
"Loro... sì" disse dopo avermi guardato in viso per una manciata di secondi. Feci un ghigno compiaciuto. "Uhm, sarà divertente. A loro potrei far vedere la mia cicatrice, quando li scoverò, fargli vedere cosa mi hai fatto. Tanto sono già morta, non ho fretta, ma tu sarai processato per duplice omicidio, ci hai pensato? Ti aspetta la pena capitale."

A quelle parole divenne cinereo, gli occhi acquosi come se si sforzasse di mostrarsi duro, ma faticasse a non scoppiare a piangere e quasi mi intenerii. Quasi. "Magari andrò a trovare qualcuno della tua famiglia" aggiunsi pensierosa. "Hai ancora la mamma? Una sorella? Un fratellino?" domandai.
Sapevo benissimo che erano rimasti solo lui e sua madre, ma dovevo torturarlo, provocarlo, se non altro per fare contenti gli uomini che ci spiavano al di là del vetro.
"NO!" gridò e per la prima volta vidi il panico nei suoi occhi.
"No?" domandai sogghignando.
"No, ti... ti prego. Mia mamma, no" mormorò lui, la voce flebile come se provasse dolore.
"Lei non ha colpe? Strano, è tua madre, dovrebbe sapere tutto di te" dissi.
"Non... non sa niente. Non vuole che io mi veda con lui e gli altri, ma io esco di nascosto, perché è importante" spiegò, dandomi il primo indizio utile dall'inizio del nostro colloquio.

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