27 - Mandare a monte i piani

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CLAIRE

Avevamo un piano. Non troppo definito, ancora, ma ce l'avevamo. Ero rimasta in compagnia dell'Alpha abbastanza a lungo da pensare a un modo per ingannare i ribelli, ma il rischio era talmente alto che all'idea di farlo sul serio, ancora tremavo, nonostante fossero passati giorni ormai.

Sobbalzai quando la porta dell'agenzia viaggi si aprì, rivelando Kit.
"Ehi" dissi debolmente. Non riuscivo più a parlare con lui liberamente, da quando aveva scoperto che Levi era il mio compagno, tutto si era complicato, soprattutto per via dei miei rapporti con lui e dei segreti che andavano accumulandosi tra noi, ma non volevo coinvolgere altre persone e nemmeno metterlo in pericolo.
"Ehi, straniera. Disturbo?" disse guardandosi attorno per accertarsi che i miei colleghi non ci fossero. Fortunatamente erano usciti a pranzo, mentre io avevo declinato l'offerta, dato che non mi sentivo molto di compagnia.
Scossi la testa e gli feci un sorriso. Mi mancava da morire il mio migliore amico e il grumo d'ansia che mi attanagliava lo stomaco, per il fatto di non poter parlare degli ultimi avvenimenti con qualcuno, non accennava a diminuire.
"Papà ti vuole a cena. Stasera. Ha detto che è importante" aggiunse, ma sapevo che se l'Alpha aveva richiesto la mia presenza, non avrei potuto rifiutare.
"Certo, per che ora?" domandai, docile.
Kit rimase interdetto per un momento, aspettandosi probabilmente di dovermi convincere,  ma se era la volontà del capo branco, non avevo voce in capitolo.
"Alle sette andrà bene" rispose.
"Ci vediamo stasera allora" dissi.
Lui fece per andarsene, poi ci ripensò. "Claire" disse avvicinandosi "che succede? Mi eviti e non lo hai mai fatto. E' a causa di Levi?" chiese preoccupato.
Non avevo intenzione di dirgli ciò che bolliva in pentola, specialmente perché speravo che non si arrivasse ad una conclusione cruenta, anche se Jeremy mi aveva assicurato che se il prezzo da pagare per la fine dei ribelli fosse stata la sua morte, per lui andava bene.
O meglio, andava bene, a patto che fossi stata io ad ucciderlo.
Quel pensiero in particolare, non mi permetteva di dormire la notte, ma non potevo dirlo a Kit, non ce la facevo, così annuii alla sua domanda. In effetti, anche con Leviathan le cose non andavano come speravo, ma ero io a evitarlo ora.

Odiavo l'idea di lui con un'altra e Monya non perdeva occasione di spuntare quando meno l'avrei voluta vedere, di solito in compagnia di Levi. Li avevo visti la settimana prima quando ero uscita con Simon, di nuovo. Li avevamo evitati, lui non mi aveva nemmeno salutata, ma lei mi aveva guardato con superiorità e il fatto che sapesse che ero la sua compagna, dopo che Morad aveva fatto la spia, era una pugnalata.
Doverla sopportare anche durante il giorno, quando ci riunivamo al capanno, definirlo baita mi sembrava davvero eccessivo, rendeva tutto più complicato. Non c'era un vero capo tra loro, Morad era il più anziano, ma Monya sembrava avere la capacità di far pendere gli altri componenti dalle sue labbra. Tuttavia, mi rifiutavo di credere che lei facesse tutto questo solo per mettere Levi al comando e diventare la Luna del branco. Mi sembrava così poco adatta per ricoprire quella figura che mi limitavo a pensare a lei come ad una bambina cresciuta che voleva vendicarsi e basta.

"Probabilmente non ci sarà stasera a cena" disse Kit interrompendo il flusso dei miei pensieri. Mi riscossi. "Ah" dissi "va bene."
La verità era che avrei tanto voluto che in quei giorni mi avesse cercato. Che i segnali che credevo di aver colto fossero reali e non che mi fossi solo illusa di contare qualcosa per lui.
Forse avrei dovuto uccidere i suoi genitori, mi dicevo subito dopo, meglio per me che non si affezionasse. Per me era tardi, dal momento in cui stupidamente mi ero data a lui non se n'era mai andato veramente dalla mia testa. Il mio corpo ricordava e bramava il suo, le sue mani, il suo tocco, il suo odore.
Ero stata davvero incauta ed ora dovevo sopportarne le conseguenze.

Quella sera, a cena, il mio compagno brillò per la sua assenza, mentre era presente Dean, il compagno di Kit, con una notizia che aggiunse sgomento tra i commensali.
Aveva iniziato a lavorare per una compagnia di sicurezza privata, che scoprii essere la stessa che presidiava il complesso nascosto sotto il comando di polizia.
La notizia preoccupante, che scoprii ben presto essere il motivo per cui l'Alpha mi voleva a cena, era che aveva sentito voci in merito ad una sperimentazione fatta sugli esemplari di lupo che catturavano.
La chiamavano la Cura e se ciò che Dean aveva sentito era vero, avrebbe trasformato quelli della mia razza in semplici umani. Trattavano il gene che ci rendeva diversi come se fosse stato un patogeno e lo aggredivano con un mix di farmaci per inibire la trasformazione, ma stavano lavorando per perfezionarla e rendere i suoi effetti permanenti.
Jeremy aveva aspettato la fine della cena per affrontare quel discorso, che aggiungeva solo un altro grosso problema a quelli che avevamo già e aveva invitato a cena anche Morad, il quale aveva cercato con insistenza il mio sguardo quando l'Alpha aveva chiesto a Dean di continuare a controllare l'andamento degli esperimenti senza tuttavia decidere di intervenire in alcun modo.
Se conoscevo l'Alpha, quello era un modo per farsi vedere poco adatto al comando e le idee dei ribelli erano così estremiste che avrebbero voluto occuparsene velocemente, come scoprii solo due giorni dopo.

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