26 - Finalmente qualcosa si muove

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CLAIRE

Quando Levi si allontanò di qualche metro per rispondere a Monya, la mia irritazione arrivò al livello di guardia, ero a pochissimo dal trasformarmi e attaccarlo, per la scelta di rispondere ad un'altra, ma quando poi lo sentii propinarle una scusa stupida sul fatto che lui fosse in ritardo e capii che doveva vedere lei, decisi che non volevo restare ad ascoltare altro.

Approfittai di quel momento per allontanarmi da lui e poi corsi più veloce che potei fino ai miei vestiti, proseguendo fino alla mia auto. Misi in moto e me ne andai, spegnendo il telefono e fermandomi a casa solo il tempo di recuperare la borraccia con l'infuso che dovevo ancora prendere.
Continuai a guidare e bere fino a che non rimasi in riserva, poi mi fermai a un distributore, feci benzina e ripartii.

Non volevo vedere Levi, non volevo sentirlo e nemmeno toccarlo. Mi aveva rincorsa chissà per quale motivo mentre, pur sapendo che mi faceva soffrire saperlo con un'altra, aveva dato appuntamento a Monya.
Non era solo il fatto che io non sopportassi quella ragazza, sarebbe stato lo stesso per qualsiasi persona di genere femminile lui frequentasse. Potevo non sopportare il suo caratteraccio e il modo in cui mi faceva sentire la maggior parte del tempo, ma certe volte... certe volte sembrava che fosse tutta scena.

Ogni tanto mi sembrava di scorgere qualcosa in lui, come se si costringesse ad essere così, come se pensasse di dover essere forte e coraggioso e  anche spocchioso e arrogante per non far vedere quanto invece si sentisse... solo.
Io e Veclan eravamo sempre stati una cosa sola, ma a ben pensarci, Levi era sempre stato un solitario, anche da bambino, ma non mi ero mai soffermata a pensare che forse, non lo era stato per scelta.
Aveva fatto ciò che suo padre si aspettava da lui ed ero certa che sarebbe stato un buon capobranco, ma da quando avevamo fatto sesso, mi sembrava ogni tanto di percepire cose di lui a cui prima non pensavo. Era come se fossi più recettiva verso di lui, le sue emozioni e in più, percepivo correnti di pensiero che gli appartenevano.
Non sapevo se lui ne fosse a conoscenza, ma ogni giorno scoprivo cose che mi impedivano di continuare ad oppormi a lui, a odiarlo per come si comportava con me. Anche se faceva lo stronzo.

Riuscii ad evitarlo per un'intera settimana, dopo quella notte e nel frattempo la mia vita proseguì come al solito. Lavoro, ronda, un appuntamento con Simon.
Non eravamo ancora andati a casa mia o sua, ma mi andava benissimo così, dato che non provavo per lui un grammo dell'attrazione che  mi legava a Levi.
Avevo aggiunto solo una piccola cosa alla mia routine, che sostituiva quasi per intero il tempo che prima trascorrevo con Kit: avevo accettato che Morad mi allenasse.

Mi aveva aspettata all'uscita dell'ufficio due giorni dopo quella disastrosa cena e si era proposto per seguire i miei allenamenti, sottolineando il fatto che ero una candidata al posto di capo branco e come tale dovevo essere al massimo della forma. Levi aveva dalla sua anni di allenamento intensivo, io avrei dovuto recuperare se davvero volevo dire la mia.
Il ragionamento non faceva una grinza, così accettai e dopo quasi una settimana di intensi allenamenti, potevo dire di aver scelto bene.

Morad era un guerriero, padroneggiava le armi automatiche allo stesso modo con cui era a suo agio maneggiando arco e frecce, o un'ascia. Sì, aveva fatto allenare anche me a lanciare un'ascia, usando una zucca poggiata su un paletto di legno.
Dentro di me avevo rabbrividito, ma la mia mira eccezionale mi aveva permesso di riuscire e Morad si era dichiarato molto soddisfatto.
Ci era voluto un po',  ma alla fine aveva fatto una mossa verso di me. Mi aveva lodato e poi mi aveva invitato a prendere una birra con lui, in amicizia. Aveva voluto sapere come andavano le cose con Levi e quando avevo mugugnato qualcosa di indistinto si era messo a ridere, finendo poi per dirmi che secondo la sua opinione, con le mie abilità sarei stata sprecata come Luna, come l'Alpha voleva.
Diceva che era di parte, visto che l'altro contendente era il figlio e gli avevo dato ragione, calcando un po' la mano, come se non condividessi appieno le scelte del capo Jeremy.

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