37 - Odio i temporali

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CLAIRE

Mi diedi della stupida quando sobbalzai all'ennesimo tuono. Si preannunciava un temporale piuttosto forte e ancora non aveva iniziato a piovere, ma tuoni e fulmini si susseguivano sempre più di frequente ed io ne ero terrorizzata.
Non riuscii a ricordare se fosse una cosa che mi era sempre successa, ma tremavo come una foglia per la paura e non riuscivo a calmarmi.
Avevo provato a mettere sul fuoco un pentolino e preparare una camomilla, ma la mano mi tremava talmente tanto che rovesciai metà del contenuto prima di arrivare al fornello, così ci rinunciai.
Non volevo cedere e prendere una della pillole per gli attacchi di panico, perché non lo era.
Avevo solo paura e volevo coprirmi le orecchie come i bambini. Mi sentivo davvero sciocca, ma il terrore non mi abbandonava e crebbe quando sentii dei colpi contro la porta.
Pensai di essermi immaginata tutto, ma non sapevo cosa potesse produrre il suono che avevo scambiato per qualcuno che bussava e quando i colpi si sentirono di nuovo, decisi di scendere a controllare.
Afferrai la mazza da baseball che avevo trovato nel porta ombrelli accanto alla porta e poi aprii i chiavistelli.
"Claire!" La voce profonda che mi chiamava al di là della porta mi solleticava qualcosa ma non riuscii a dargli un nome.
Il fatto che mi chiamasse per nome almeno significava che lo conoscevo, così aprii la porta, proprio mentre un tuono particolarmente vicino mi faceva sobbalzare per lo spavento.
"Stai bene?"
Davanti a me, appoggiato con le mani ai lati della porta, c'era Leviathan Corso e non avevo davvero idea del perché fosse qui, ma sembrava preoccupato e mi resi conto a scoppio ritardato che mi aveva posto una domanda.
Feci per rispondere, ma un altro tuono mi bloccò la risposta in gola e mi accartocciai su me stessa, impaurita.
Non ebbi tempo di fare altro, perché lui fece un passo in avanti di slancio e mi abbracciò. "Non avere paura, ci sono io adesso."
Sembrava davvero sicuro delle sue parole e restai di sale. Non era qualcosa che associavo a Leviathan, il suo essere premuroso, anzi Simon mi aveva raccontato che era sempre scortese e cattivo con me quando ci vedevamo, a differenza di Veclan, eppure eccolo qui, che mi stringeva e mi rassicurava.

"Leviathan, tu... " ma non seppi come continuare.
Mi guardò un momento, chinando  la testa ad incontrare i miei occhi  e rimasi incantata a guardarlo, non ci avevo fatto caso quel pomeriggio, ma era un bel ragazzo, forse più di Veclan. "So che non ti piacciono i temporali e pensavo che avresti gradito un po' di compagnia finché non passa" disse.
Volevo protestare, dopotutto quasi non lo conoscevo, ma mentre mi teneva stretta a sé sembrava avere una tale premura che non riuscii a pensare a lui come una cattiva persona, perciò annuii piano, stringendolo a mia volta.
Sentii chiudere la porta e sciolsi l'abbraccio. Accesi la luce, notando solo in quel momento che in realtà aveva già iniziato a piovere, perché Leviathan aveva i capelli zuppi.
"Non mi ero accorta che pioveva" dissi "ti prenderai un malanno" e mi scostai per lasciargli spazio, bloccandomi subito dopo a causa di un tuono.
"Qual' è la stanza più protetta della casa?" chiese, pratico.
"Forse... la mia stanza, ho chiuso le imposte. Ogni stanza ha finestre, purtroppo" dissi pensando che se avessi dovuto ristrutturare avrei voluto una stanza anti panico, magari sotto le scale.
"Andiamo. Magari se potessi darmi un asciugamano..." disse, in tono imperioso.

Restammo in silenzio fino alla soglia della mia camera, dove mi fermai.
All'improvviso, l'idea di avere un ragazzo semi sconosciuto con cui non avevo mai avuto un bel rapporto chiuso con me in una stanza, non mi parve più una buona idea e tentennai.
"Claire, non ho intenzione di farti del male. Ti faccio compagnia finché non passa il temporale e poi me ne vado."
Restai a guardarlo per un tempo indefinito, mentre decidevo se fidarmi o meno, ma qualcosa in lui mi faceva sentire protetta, anche se non faceva nulla di particolare e decisi di ascoltare quella sensazione.
"Vado a prendere un asciugamano" dissi facendo due passi in corridoio e aprendo l'armadio della biancheria.
Al mio ritorno lo trovai esattamente dove l'avevo lasciato e restai imbambolata a guardarlo levarsi la maglietta e frizionare i capelli con l'asciugamano per un tempo che chiunque avrebbe giudicato fin troppo lungo.
Mi riscossi e voltai di scatto il viso, addentrandomi nella stanza e sedendomi infine sul copriletto, in attesa.
Guardai ovunque tranne che verso di lui, cercando di superare l'imbarazzo e magari portare avanti una conversazione normale. Mi cadde l'occhio sulla maglietta bagnata, abbandonata a terra e mi venne in mente che somigliava tanto ad una che avevo trovato rientrando in casa mia qualche giorno prima, ma non sapevo dove collocare quel pensiero.

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