Prologo

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Disclaimer: I personaggi di questa fanfiction non sono nostri: appartengono soltanto a loro stessi. Tutto quello che è scritto è pura finzione per cui non intendiamo dare rappresentazione veritiera del carattere e dell'orientamento sessuale di queste persone, né offenderle in alcun modo.

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Per una migliore comprensione dei fatti, consigliamo caldamente la lettura di CUBALIBRE, la prima parte della storia.

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CHAMPAGNE

Prologo

Caldo - faceva caldissimo quel giorno a La Habana. Caldo afoso, di quello che non lasciava respirare, di quello che quasi impediva di muoversi, il tipico caldo di maggio, quando la temperatura minima non scendeva sotto i venticinque gradi e l'umidità raggiungeva quasi la percentuale massima - joder. Einar, ancora nel dormiveglia, scacciò via una mosca che gli ronzava attorno da qualche minuto disturbando il suo sonno - aprì gli occhi blu, d'improvviso. Mierda, pensò subito senza riconoscere esattamente dove si trovasse: il soffitto un po' scrostato, la finestra aperta ed il sole che lo colpiva in pieno, senza alcuna pietà - pietà, sì, come se il mondo avesse avuto pietà di lui nell'ultimo periodo.
La testa gli scoppiava e quel caldo asfissiante non lo aiutava certamente: pesante, pesante, Einar si sentiva così dannatamente pesante, col petto schiacciato da - ah. Se fino a quel momento era stato convinto che qualcosa (qualcosa di fisico, emozioni a parte) lo schiacciasse, adesso si rese conto che si trattava di qualcuno - joder, il corpo nudo - e fastidiosamente sudato ed appiccicaticcio - di (quello che immaginava essere) Ricardo lo comprimeva e non gli lasciava modo di tirarsi un po' su per darsi sollievo da quel calore terribile. Alzò appena la testa, allungando il collo, notando come il corpo del suo capo fosse avvinghiato al proprio - schifo, Einar provò schifo e fastidio, mentre lo stomaco si ribellava un po' e gli ricordava che la sera precedente aveva bevuto decisamente troppo. Ecco sì, aveva bevuto col suo capo, che si erano incontrati per caso in una via del centro: lui e Ricardo avevano bevuto per tutta la serata ricordando vecchi momenti al locale, quel locale che ora aveva una nuova gestione e nel quale Einar non lavorava più per - Dio. Beh, comunque avevano decisamente esagerato con l'alcool e poi - Einar ricordava - si erano ritrovati a casa dell'uomo e lì avevano fatto sesso per, probabilmente, la seconda o terza volta da quando si conoscevano (seconda o terza, Einar?). Scadente, eh, sesso scadente, sesso fatto tanto per fare - per lui, almeno, che a Rico pareva essere piaciuto particolarmente, mentre il barman sentiva di non aver provato niente, di essere arrivato al piacere quasi distrattamente ed essere rimasto frustrato ed insoddisfatto.
Frustrato, insoddisfatto, pesante: era così che Einar si sentiva da settimane, con un groppo in gola fatto di lacrime e tristezza, che non riusciva a buttare né giù né fuori. Che ne era stato di tutta la sua leggerezza? Dio, svanita, era svanita in un attimo, era svanita su un taxi per l'aeroporto mesi prima, era svanita alcuni giorni fa quando nonno, dopo la sua malattia, era mancato e nonna, dopo poco, lo aveva seguito - morire di crepacuore, si dice, no?
Einar non provava (né aveva) più niente, se non un assiduo senso di pesantezza e la continua mancanza di respiro: aveva dovuto lasciare il lavoro al locale prima che cambiasse gestione ed aveva trovato impiego in un posto dove pagavano un po' meglio, ma una volta arrivate le brutte notizie da Santiago, aveva dovuto mollare tutto. Era corso a casa ad occuparsi di tutto (che era lui l'uomo di casa da quando papà era mancato, no?), a sistemare ciò che doveva sistemare e poi era tornato a La Habana: era di nuovo lì da una settimana, ma niente, non aveva trovato alcun lavoretto, nemmeno quello più umile.
E allora aveva dovuto cambiare i propri piani - radicalmente.
Cercò di sgusciare via dalla presa stretta dell'uomo, che ciò che desiderava di più era una doccia e poi andarsene da lì - sbuffò, quando ci mise forza e non riuscì nemmeno a spostarsi di un centimetro.
Quello grugnì qualcosa di incomprensibile di fronte a tutto quel movimento e strusciò la guancia contro quella di Einar, gli occhi ancora chiusi. "¿Qué pasa?" chiese con voce roca, posando le labbra proprio sotto l'orecchio dell'altro e lasciando dei baci proprio lì.
Einar voltò il viso dall'altro lato per provare a scostarsi da quelle attenzioni, una smorfia malcelata sulla bocca. "Non respiro" disse solo, provando a non mostrarsi esageratamente infastidito (come in realtà era).
Ricardo si spostò, allora, stendendosi di schiena accanto a lui. "Cazzo, mi scoppia la testa." si lagnò, stiracchiandosi.
"Ay, ci credo. Abbiamo bevuto troppo stanotte - joder" gli rispose quello tirandosi - finalmente - su a sedere, che adesso la testa pulsava anche a lui. Si massaggiò le tempie con vigore, accorgendosi di non essere riuscito a liberarsi dal senso di oppressione e pesantezza che gli schiacciava il petto, nonostante il suo jefe non gli fosse più addosso. Alzò le braccia per stirarle e piegò il collo da una parte e poi dall'altra - Dio, non gli faceva male niente, assolutamente niente. Che scopata scadente che era stata.
"Pero, dopo è stato il sesso migliore che abbia mai fatto." proclamò con un sorrisetto, aprendo appena un occhio per guardarlo.
Il sesso migliore che - Einar si disegnò forzatamente un sorriso sulla bocca, mentre in realtà prendeva un sospirone: lui, il sesso migliore, aveva smesso di farlo esattamente - quante settimane erano passate, più? Si ritrovò a stringere gli occhi mentre contava mentalmente i mesi (ormai erano mesi, non più settimane, Einar) passati dalla partenza di - "Già" fu, però, d'accordo, giusto per dire un'altra cosa che avrebbe alimentato l'ego dell'uomo. "Assolutamente" continuò, che quando inseriva il pilota automatico era difficile fermarsi - dalla finestra, le note di una vecchia canzone ed Einar che, ancora, non provò nulla.
Ricardo fece scorrere lo sguardo lungo il corpo dell'altro e si leccò le labbra. "Pues, credo che potremmo fare un bis."
Un bis. Einar si voltò un po' col viso, fino a poterlo guardare ed accennò un altro sorriso. "Non posso, è tardi - devo vedere Marisol."
Quello parve un po' deluso, poi alzò le spalle e non insistette oltre. "Salutamela, allora."
"Claro que si" fece l'altro allungando la mano ad accarezzargli il braccio - non seppe perché, forse per scusarsi. "Però prima posso fare una doccia veloce?"
"Fa' pure." rispose Ricardo, sbadigliando un po'. "Io credo che cercherò un modo per farmi passare questo mal di testa."
Einar si alzò in piedi - nudo, nudo, completamente nudo - e si grattò un po' una spalla. "Forse meglio se mangi qualcosa" gli suggerì, poi con mezzo sorriso sparì nel piccolo bagno - ancora nessun dolore post sesso, ancora il senso di pesantezza addosso.
Ancora quel malessere generale - la leggerezza era solo un ricordo lontano.

Champagne || EiramDove le storie prendono vita. Scoprilo ora