CHAMPAGNE
UndiciVoglio averti nella mia vita per sempre
Marzo 2016
Einar vuotò del tutto il bicchiere reclinando il capo all'indietro e lasciando che il succo di canna da zucchero gli inondasse la bocca con la sua dolcezza - schioccò la lingua tornando a guardare il mondo dal verso giusto. Si appoggiò meglio allo schienale della sedia di plastica ed accavallò le gambe abbronzate - i pantaloncini di jeans strappati sulla coscia - dando un'occhiata tutt'attorno. Il locale, organizzato in un cortiletto di cemento, quella sera era piuttosto pieno: un po' di visi conosciuti, un po' di turisti e le cameriere, che lui conosceva ormai da mesi, che continuavano a girare amichevolmente tra i tavoli - nessuna fretta. Il popolo cubano tendeva a prendersela con così tanta calma che non era strano vedere qualche cameriere sedersi coi clienti a parlare (se la mole di lavoro non era troppo esagerata). Spesso, anzi, si fermavano a colloquiare anche con i turisti provando a destreggiarsi in un inglese piuttosto disastroso e, poi, ripiegando sullo spagnolo misto a gesti con tanto di risate - le risate, sì, forse quelle erano un linguaggio universale. Insieme alla musica.
Einar piegò la testa da una parte, poi dall'altra canticchiando a mezza bocca la canzone che un vecchio signore stava arrangiando con una chitarra - sorrise, rendendosi conto di quanto la musica riuscisse a mandare via parte di quella stanchezza che sentiva addosso. Aveva smontato tardi dal suo lavoro al locale, che c'era stata tantissima gente a ballare, lì, e quella mattina era andato a scaricare casse al mercato ed poi era rimasto a dare una mano - arrangiarsi. Einar era uno che si arrangiava e non aveva paura della fatica, aveva bisogno di soldi per la propria famiglia e non si era mai tirato indietro da questa responsabilità. Quella sera, però, si sentiva un po' più stanco del solito e, nonostante a volte fosse quasi un lusso per un cubano medio fermarsi a cenare fuori, lui non aveva avuto la forza di fare la spesa e aveva deciso di concedersi un pasto servito al tavolo - non lo faceva spesso, anzi, tendeva a rinunciare alle cose superflue, proprio per poter spedire qualche soldo in più a casa. Ma quella sera...
E poi, forse non aveva fatto male, no? Che due tavoli più in là c'era quel tizio che continuava a voltarsi verso di lui - lo fece sorridere, era gradevole incrociare il suo sguardo. Era palesemente un turista, comunque, così ben vestito ed elegante - sorrise di più e tornò a versarsi dell'aguardiente.
Joele prese un boccone di ropa vieja e si voltò ancora una volta a guardare quel ragazzo - i capelli ricci e due fossette sulle guance. Era poco più di una settimana che era arrivato a L'Avana: aveva accettato il trasferimento di buon grado - anche perché aveva sempre voluto visitare l'isola.
Si schiarì la voce, mentre lo sguardo indugiava ancora da quella parte. Forse avrebbe dovuto parlargli, dire qualcosa - ingoiò ancora un boccone.
"Scusa." disse, dopo un po' di dubbi, quando i loro occhi si incrociarono per la seconda volta. "Cosa bevi?" domandò in uno spagnolo piuttosto sicuro, tentando di mascherare l'imbarazzo.
Einar, che si era incastrato nel suo sguardo, lasciò spazio ad un sorriso: aveva captato le sue parole anche grazie al labiale, che c'era una gran confusione, lì - i cubani potevano risultare piuttosto casinisti. "Aguardiente" rispose con voce bassa (e forse lo fece appositamente) - un cenno col mento alla bottiglia ancora piena posata sul proprio tavolo.
L'altro riuscì a capire la risposta soltanto perché aveva lo sguardo puntato sulle labbra di Einar, ma finse comunque di non capire. "Come?"
Il cubano lo fissò per un secondo senza ripetere la risposta: sorrise ancora una volta (le fossette sulle guance) e decise di abbandonarsi alla leggerezza: afferrò la bottiglia e versò del succo nel bicchiere pulito che la cameriera aveva dimenticato al suo tavolo. Poi, fece segno allo sconosciuto di avvicinarsi - carpe diem.
Joele non aspettava altro: prese il proprio piatto e gli si avvicinò, prendendo posto al suo fianco. "¡Hola!" lo salutò sorridendo. "È aguardiente." finse di notare, leggendo l'etichetta.
Einar accennò un piccola risata osservando quel ragazzo elegantissimo avvicinarsi a lui e alla sua maglietta di un azzurro ormai sbiadito dal sole. "Sì" rispose, quindi. "Lo hai mai assaggiato?" chiese avvicinandogli il bicchiere.
"No, però l'ho sentito nominare." fece ed afferrò il bicchiere, studiando la bevanda quasi fosse ad un assaggio di vini. "Buono." commentò sorridente, dopo averne bevuto un po'.
Quello lo osservò: i movimenti misurati, eleganti, il modo raffinato con cui il ragazzo aveva appena assaggiato il succo - si morse un po' le labbra. "Dissetante, vero?"
"Molto." sorrise, prendendo un altro sorso. "Io sono Joele, comunque" si presentò, leccandosi le labbra.
"Einar" rispose l'altro allungando la mano a cercare la sua per completare la presentazione, la testa che lavorava su quei piccoli dettagli.
"Spero di non averti disturbato, Einar." fece lui. "Ma sembrava davvero buono quello che bevevi."
Nessun disturbo, disse il sorriso sulla bocca del cubano - "Lo è" rispose, invece. "Il succo, dico" precisò, le fossette ancora lì sulle guance, e bevve ancora un po'.
"Non ti ho mai visto da queste parti" aggiunse, poi, le labbra appena appena bagnate, che se ti avessi visto me lo ricorderei benissimo.
Joele annuì, come per dargli ragione. "Sono arrivato da poco a Cuba." lo informò. "Quasi una settimana e mezza."
"Per lavoro?" chiese incuriosito Einar lasciando scivolare lo sguardo su quel Joele: assurdo, era elegante anche mentre annuiva. Allora raddrizzò un po' la schiena, tornando a sedersi composto.
"Sì, per lavoro." rispose quello e sorrise guardandolo. "Tu sei di qui, vero?" chiese, che aveva riconosciuto l'accento.
"Già" annuì l'altro ragazzo. "Beh, in realtà non proprio di qua" aggiunse un secondo dopo, la testa che tornava a piegarsi da un lato con un altro piccolo sorriso sulla bocca. "Sono in città per lavoro anch'io" precisò grattandosi un po' il braccio e - "Tu, invece? Barcellona? Madrid?" domandò, che lo spagnolo che il ragazzo parlava era pulito e preciso ed Einar lo aveva collegato automaticamente alla Spagna.
Non c'è nulla di meglio per il proprio orgoglio che essere scambiati per un madrelingua di una lingua non tua: Joele si sentì per un momento divertito e fiero allo stesso tempo. "No." rispose, ammirando gli occhi dell'altro (blu? Celesti?) "Sono italiano."
"Italiano?" esclamò Einar schiudendo le labbra. "Sul serio?" e rise un po' (la testa reclinata appena all'indietro), che davvero non si aspettava che quello sconosciuto potesse provenire da un paese che non fosse la Spagna. "Wow, complimenti - parli benissimo la mia lingua" fece, lo sguardo che accarezzava quell'espressione fiera - ed elegante, dannatamente elegante.
"Esagerato." rispose, modesto, slacciandosi un bottone della camicia - non respirava.
Il cubano seguì quel movimento quasi avidamente: le dita lunghe e curate, la pelle leggermente bronzea e la linea sinuosa del collo che - si umettò appena le labbra. Carpe diem, carpe diem, carp - "Ti va se ordiniamo qualcos'altro da mangiare? Scommetto che non hai ancora assaggiato la Yuca con Mojo."
L'italiano scosse il capo e rise un po'. "Già, non ancora." confermò. "Cos'è?"
"Beh, la yuca è un tubero molto comune qui e, in questo piatto, viene fatta marinare con aglio, lime e -" si sfregò il mento con indice e pollice, alla ricerca dell'ultimo ingrediente. "E olio, ecco" concluse annuendo un po'. "Ah, Juana - la cuoca - ci mette anche le cipolle."
Joele si accarezzò lo stomaco, affamato. "Sembra buonissimo." ammise. "Che ne dici se, insieme, beviamo un po' di vino?"
Vino? Tutto ciò a cui riuscì pensare Einar in quell'istante fu davvero? Del vino? Si passò la lingua sui denti, pensoso: il vino un bene di lusso, lì, a Cuba e di solito lo bevevano solo i turisti, che era d'importazione e, di conseguenza, piuttosto costoso - certamente non acquistabile da un cittadino cubano medio. "Perché no?" sorrise un po', ancora la lingua a scivolare sui denti. "Non l'ho mai assaggiato."
"C'è una prima volta per tutto." gli disse, facendogli l'occhiolino.
Einar rise, la testa piegata all'indietro e quella risata coinvolgente che veniva su dal petto- joder, sì, pensò, la stanchezza solo un ricordo lontano. "Hai ragione, Joele" rispose, adesso di nuovo il capo dritto e gli occhi posati in quelli del ragazzo accanto a sé. "C'è una prima volta per tutto" ripeté, mentre la cameriera si fermava all'altezza del loro tavolo e sorrideva un po'. "Posso portarvi qualcos'altro, ragazzi?" chiese guardandoli.
L'italiano si voltò a guardarla. "Sì, grazie. Due Yuca con Mojo ed una bottiglia di vino." ordinò e poi tornò a guardare il ragazzo davanti a sé.
Quello lo fissò per un lungo attimo, mentre la donna si allontanava con la comanda: il modo in cui Joele aveva appena ordinato la cena per entrambi aveva fatto sentire ad Einar una morsa allo stomaco - una di quelle piacevoli, no? Era stata una piccola premura, un piccolo accorgimento che wow. Lasciò scivolare meglio gli occhi in quelli del ragazzo - forse per l'ennesima volta in quella mezz'ora - e sorrise. "Raccontami qualcosa dell'Italia."
Quello sorrise appena. "Sai, non fa così caldo in Italia." scherzò.
"Davvero?" fece una strana faccia Einar - aggrottò le sopracciglia e le labbra si arricciarono un po'. Il mondo esterno, quello che andava oltre l'isola, era pressoché sconosciuto per i cubani a causa della linea politica adottata - la vita era piuttosto soffocante, lì, se ci si soffermava a pensarci troppo.
"Sì, le temperature sono un po' più basse." fece, ricordando un po'. "Però è davvero un bel Paese." aggiunse con un sorriso.
"E nevica?" chiese ancora il cubano, tanto incuriosito da non fare quasi caso ad un'altra cameriera che posava sul tavolo la bottiglia di vino, due bicchieri semplicissimi ed un cavatappi un po' arrugginito.
Joele ringraziò e cominciò ad aprire la bottiglia. "In alcuni mesi, in alcune regioni sì." spiegò, versandogli da bere.
Einar, che si era riempito gli occhi di ogni movimento dell'italiano (il modo in cui aveva posizionato la bottiglia, come aveva inserito il cavatappi e come aveva estratto il tappo in un attimo, con una mossa pulita e che trasudava eleganza e sensualità - come aveva versato il vino prima nel bicchiere di Einar poi nel proprio), sorrise ancora un po'. "È freddissima la neve, vero?" domandò, che l'aveva vista in qualche spezzone di qualche vecchio film.
Joele annuì, posando la bottiglia sul tavolo. "Sì, davvero tanto. Ma è divertente giocarci, sai? Anche perché sei costretto a fare un bel bagno caldo, poi."
Einar sorrise, le fossette sulle guance e gli occhi blu che brillavano di una strana luce - si umettò le labbra. "Sembra davvero divertente" rispose mentre una punta di malizia scivolava tra le parole.
Oh - era da così tanto che Joele non flirtava con qualcuno, che probabilmente era un po' arrugginito. Ci avrebbe provato comunque, però. "E tu?" domandò. "Cosa fai per divertirti?"
Quello rise e scrollò un po' le spalle: aveva una risposta molto maliziosa sulla punta della lingua ma, chissà perché, decise di evitarla - quel ragazzo era così elegante, interessante e fine che ad Einar parve più appropriato tirare un po' il freno e provare ad apparire (almeno un po') come lui. "A Cuba? Si balla!" ed accompagnò la risposta ad un'altra risata morbida.
"L'ho notato." scherzò l'altro, stringendo il bicchiere tra le mani. "Quasi proporrei un brindisi, sai?" disse, pensandoci su. "Brindiamo a Cuba, al cibo e -" e lì il sorrise divenne piccolo e sincero. "- ai nuovi incontri."
Ai nuovi incontri - Einar fissò Joele per qualche attimo, sulla bocca un sorriso che non riusciva più a togliersi di dosso e quella stretta piacevolissima allo stomaco. Nonostante si fossero appena incontrati, si sentiva colpito da quel ragazzo e non poteva smettere di pensare a quanto fosse bello, bello ed elegante e fine e - Dio, quella camicia gli stava così bene ed i suoi modi erano perfetti. Allungò la mano a prendere il proprio bicchiere e lo sollevò un po' - la gamba che si spostava un po' sotto il tavolo e scontrava involontariamente il piede dell'italiano ("Scusa", fece, poi raddrizzò la schiena). "Allora a Cuba, al cibo e ai nuovi incontri" ripeté sfiorando il suo bicchiere con il proprio - il viso illuminato di serenità.
Quello ammirò per un attimo quell'espressione, prima di bere un sorso di vino. Chissà che fortuna aveva avuto quella sera per essere riuscito a parlare con lui.
"Buono." commentò dopo, leccandosi le labbra. "Sa un po' di tappo, ma ha un ottimo aroma."
Oh - Joele si intendeva anche di vino. Einar lasciò scivolare gli occhi sulla sua bocca, poi sulle dita che reggevano il bicchiere, sulla linea del braccio e sui muscoli delicatamente delineati sotto la stoffa della camicia elegante - sorrise e posò la bocca sul bordo del bicchiere (gli occhi adesso nei suoi) e lo inclinò per assaggiare, per la prima volta, il vino. Buttò giù sentendo un calore piacevole dipanarsi per tutto lo stomaco. E quel calore, forse, non era solo per il vino. "È buonissimo" decretò con la sua semplicità e quel sorriso enorme sulla bocca.
Era così bello, Dio, bellissimo. "Hai da fare qualcosa dopo?" chiese quasi d'istinto.
"No" rispose Einar, forse troppo di getto - si abbandonò ad una piccola risata. "No, non ho da fare dopo" disse provando a non apparire troppo entusiasta - ma joder, come poteva non esserlo? Quel ragazzo perfetto (ed elegante e fine e - sì, forse Einar stava diventando un po' ripetitivo) gli stava proponendo di passare altro tempo con lui. Perfetto, dannazione, quel Joele era assolutamente perfetto. "Nessun programma."
L'italiano sospirò, quasi avesse trattenuto il fiato - era quasi sollevato dalla notizia.
"Allora, che ne dici di fare due passi con me?"
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Champagne || Eiram
FanfictionCONCLUSA - Eiram | Sequel di Cubalibre | 2018 ed Einar vede la sua realtà sgretolarsi e la sua leggerezza andare via. Ma Milano è diversa da Cuba, la vita è diversa - anche Filippo ed Einar sono diversi, adesso. In un viaggio tra flûte di champagne...