Capitolo 2

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Alexa

È come respirare di nuovo per la prima volta.
Come rinascere.

La luce è troppo accecante perchè io possa vedere.
Fa freddo.
Ho i brividi.
Il mio corpo è costellato da goccioline, non saprei dire se sto sguazzando nel mio stesso sudore.

Mi fa male la testa.
È come risvegliarsi da un incubo.
-Guarda guarda chi ha deciso di svegliarsi-
La voce rimbomba nelle mie orecchie diverse volte.
Non l'ho mai sentita prima.
Mi bruciano gli occhi.
Non sono in grado di vedere a chi appartenga.

Mi agito freneticamente nella mia cecità, ma è inutile: sono ben legata.
Stringo i pugni e abbasso il capo, ho bisogno di riflettere.
Che sta succedendo?

-È la terza volta che proviamo a svegliarti- la voce continua impassibile, per nulla turbata.
-C.h...i sss...ei- ogni parola che cerco di articolare non vuole uscire dalla bocca, quasi mi strozzo nel tentativo.
-Ah sì, ecco, forse abbiamo esagerato con i sedativi-
È per questo che sento tutto così bloccato?

Cerco di rilassare i muscoli, l'effetto dei farmaci si ritirerà a breve.
Sono seduta.
È la prima cosa che riesco a realizzare.
Le braccia e le gambe della sedia sono state usate per legare i miei arti; non con una corda, poichè mi basterebbe solo qualche altro movimento per tagliarmi.

Tornare a vedere è doloroso.
Ho le vertigini.
E la nausea, cazzo.
La luce a led puntata proprio su di me continua a darmi fastidio. Dei passi assordanti attraversano la stanza che vibra incessantemente.

-Alexa Evans, non vedevo l'ora di incontrare la ragazza che ha creato così tanti problemi- il proprietario della voce è vicino, ma non riesco ancora a definire il suo volto.
-O almeno, quello che ne è rimasto- la mia testa si alza di scatto, in risposta al suo commento.
Sento i capelli bagnati schiaffeggiarmi il viso per l'urgenza della mia mossa.
La stanza smette di girare, stabilizzandosi.

Sobbalzo quando vedo che l'uomo è accanto a me.
La prima cosa che imprimo nella mente è il suo abbigliamento elegante: giacca grigia in stoffa morbida dal taglio semplice e una cravatta verde scuro che risalta in mezzo al grigio del completo e il bianco della camicia.
Mi chiedo cosa voglia un uomo vestito così da me.
È stato lui a legarmi?
Non sembra uno disposto a sporcarsi le mani, pare più un tipo che puoi incrociare per strada, a New York, uno di quelli che cammina in fretta senza posare lo sguardo su nessuno.
Ha superato la cinquantina da tempo, è così vicino che posso vedere con chiarezza le rughe che si diramano dalla coda dei suoi occhi.

-Non aver paura di me, voglio solo parlare un po' con te- accenna ad un sorriso che dovrebbe essere rassicurante. Ian mi ha abituato a riconoscere il significato delle espressioni delle persone, in quanto lui sia il vero enigma.
-Allora, proviamo di nuovo, riesci a parlare?- rimango ferma, non ci provo nemmeno.
Gli rivolgo uno sguardo truce in modo che colga il messaggio.

-Così non ci siamo, Alexa- il suo tono rimane tranquillo, come se avesse tutto il tempo del mondo.
-Pensavo che saresti stata più collaborativa-
Ho appena il tempo di scorgere la lama del coltellino nascosta dentro la manica della giacca che ha già scavato un taglio sulla mia coscia.

Quando lancio un urlo per il dolore atroce, la lama fredda è stata appena estratta. L'ho sentita sgusciare via dalle pareti della ferita, grondante di sangue.
Non ho le forze per arrestare le lacrime impetuose e i singhiozzi.
Mostrargli la mia sofferenza mi logora più del taglio, ma sono troppo debole per trattenermi.

-Eccola! Proprio questa voce- esclama quasi esultando, il coltello ancora tra le dita sporche.
Io non riesco a smettere di piangere come una bambina, come se avessi dimenticato di aver subito di peggio.
Il bruciore alimenta il mio pianto disperato.
- Dai, non esageriamo, è solo un graffietto- si avvicina per osservare il suo lavoro, guardandolo con aria soddisfatta.
Chi è questo pazzo?

Progetto 27|| Broken SoulDove le storie prendono vita. Scoprilo ora