Capitolo 1

477 14 0
                                    

Ciao, impariamo a conoscerci. Mi chiamo Christine... Christine e basta, non ho un cognome o almeno giuridicamente ce l'ho ma ho deciso da anni di ignorarlo. Quello che so -non perché ricordi- é che i miei cari e amati genitori mi hanno abbandonato su un ciglio di una strada di Manhattan, sono stata recuperata in tempo visto che stavo morendo di ipotermia e sono stata sbattuta in un orfanotrofio. Adesso ho 13 anni e mi trovo in un istituto diverso vicino a San Francisco. Mi trovavo nell'area ricreativa e osservavo una fila di bambini con una coppia di fronte, quei pargoli stavano fermi e tranquilli a guardare con occhi speranzosi la coppia che aveva il compito di sceglierne uno. Mi fece ribbollire lo stomaco, anche io mi trovavo in quella stessa situazione ma nessuno mi aveva mai scelto, una graziosa bambina pallida, con le lentiggini e due trecce lunghissime di color rossiccio. Assomigliavo a Merida caspita, perché non mi hanno mai scelto. Mi girai da un'altra parte e andai a sedermi su una poltroncina mentre guardavo stupidi documentari senza poter cambiare. In questi istituti sia mai ti potesse capitare un programma violento potevi condannare tutto il lavoro che hanno fatto qui dentro. Siccome una tigre che mangiava la sua preda fosse educativo o non violento. Descriveva non altro che la legge del piú forte che era la legge principale di questo istituto e della scuola in cui andavo. Nessuno mi aveva scelto e dopo i 9 anni tutte le coppie che venivano per passare del tempo con me per le "pratiche" o per conoscermi (era la prassi), non le rivedevo il giorno dopo perché mi non comportavo bene. Non volevo essere adottata con quell'infimo sistema che rendeva noi bambini sfortunati come merce. In tutte le mie consulenze psicologiche dicevo che mi piaceva uccidere gli animali e che provavo un'istinto omicida con il personale dell'istituto (quest'ultima affermazione era vera peró) in modo da magari portarmi nel reparto psichiatrico dove ti imbottiscono di farmaci e non ci capisci piú niente ma non funzionava cosí. Non avevo amici, non avevo parenti, non avevo nessuno a parte qualche famigliola felice che provava a conoscermi e che subito dopo dubitava se adottare veramente un bambino, meglio stare senza. Mi guardai nel riflesso della finestra e trovai che ero la solita ragazza problematica che conoscevo: con tante lentiggini in volto, bianca come il latte e la mia zazzera di lunghi capelli ricci e rossi. Ogni tanto speravo di essere un'altra persona, con dei genitori, una casa, un giardino e un cane, ma ero sempre e solo io.
Mi chiamó un inserviente dicendomi che avevo delle visite e che dovevo preparare i bagagli. Avevo capito, mi stavano sballottando in un altro istituto di nuovo, in questi anni mi feci un bel giro in diversi parti dell'america come una merce di scambio alquanto irrascibile e taciturna. Preparai il borsone con le poche cose che avevo e andai nella stanza di attesa che era colorata e con i disegni fatti dai bambini piú piccoli del centro. Guardai distratta i disegni quando si aprí la porta e fece entrare due uomini nell'enorme stanza e subito dopo la signora Catherine, la direttrice, chiuse gentilmente la porta. L'uomo sulla destra lo conoscevo, era Greg, ormai veniva qui da 3 anni, piú o meno da quando mi portarono in questo nuovo istituto. Era lí presente con una faccia preoccupata: aveva dei lineamenti regali, il viso a diamante aveva gli zigomi ben visibili e alti con presente una barba leggera che gli incorniciava il viso, sempre ben curata; aveva gli occhi verdi simili ad un prato sbiadito, il naso era leggermente a punta e aveva i capelli piú lunghi dall'altra volta che lo vidi, erano dei ricci leggeri, come boccoli che gli arrivavano appena sotto l'orecchio; era vestito con una felpa azzurra, una di quelle sportive che di solito si usavano per correre, che gli copriva le spalle larghe con sotto dei pantaloncini neri in cotone; portava delle nike bianche e nere e mi guardava nervoso passandosi compulsivamente la mano sul braccio. Il tipo affianco a lui sembrava uno di quei capitani dell'fbi, sapete quelli che sono vestiti con abiti eleganti e che hanno la postura come se gli hanno infilato un palo su per il cul... ehm, didietro ("Culo é una parolaccia" ci urlava sempre il prefetto Kate). Aveva un viso ovale con una espressione scocciata su di esso, quello che trovai di interessante erano gli occhi di un color grigio chiaro, come un cielo in tempesta; aveva dei capelli neri come il carbone voluminosi, poco piú lunghi di quelli di Greg; Aveva un soprabito di color nero con sotto un panciotto color bianco sporco con delle fantasie cashmere, un cravattino del medesimo colore del panciotto e dei pantaloni lunghi e neri che sembravano costare molto. Osservai a lungo i due, Greg aveva un'espressione molto imbarazzata e preoccupata mentre l'altro aveva uno sguardo vacuo che non mi lasciava intuire niente sul suo stato d'animo attuale. Greg era sempre stato un tipo molto cristallino, che ti trasmetteva i suoi sentimenti o stati d'animo semplicemente attraverso il linguaggio del corpo. Anni di silenzio e di persone diverse mi hanno insegnato a studiare per bene quest'ultime, per non mettermi nei guai oppure per mettermici nei guai. Il tipo con gli occhi nuvolosi non riuscivo proprio a studiarlo.

Come se fosse un sognoDove le storie prendono vita. Scoprilo ora