Capitolo 42 (Christine's POV)

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Giacevo pesante lì sul mio letto. Mentre Greg tentava di chiamare Oliver e farlo ragionare. Come mi sentivo? Non lo sapevo con certezza, una gran parte di me pensava che i miei genitori avessero fatto quella fine ma sentirselo dire era gran lunga più doloroso. Mi ero calmata, non piangevo, restavo lì a non fare niente di niente. Spiazzata per la reazione di Oliver? Forse, ma nemmeno più di tanto, lo conoscevo ormai. Sospirai e mi strinsi al cuscino. La stanza era ormai sommersa da una luce soffusa, quella poca luce che filtrava attraverso la finestra mi illuminava solo parte delle caviglie, il sole era andato oltre la mia casa. La piega che stava prendendo la mia vita mi piaceva poco, stavo facendo un sacco di cazzate e sembra che intorno a me regna soltanto il disordine. Nemmeno pensavo di avere una adolescenza un tempo, eppure adesso mi trovo immersa in essa con tutte le sue complessità, tra amore, amicizia ed incomprensioni. Forse dovevo alzarmi da questo letto e riuscire a smuovere questo punto morto che avevo ormai raggiunto. Dovevo andare a parlare con Arthur, della famosa faccenda, e ascoltarlo, perché fin ora non ho ascoltato proprio nulla. Dovevo parlare con Aaron, dovevo fare un sacco di ordine. I miei genitori per quanto fossero miseri, volevo ancora incontrarli, forse farebbe più male che non sapere nemmeno che aspetto abbiano. Voglio chiudere soltanto questo capitolo e andare avanti con la mia vita sperando che non prende una piega tanto brutta come adesso, per poi potermi occupare dei due adulti che fanno finta di esserlo che ho come genitori. Sospirai alzandomi con un rantolo, avevo gli occhi gonfi e la testa dolorante. Presi una giacca e scesi di sotto, Greg era troppo impegnato a provare a chiamare al telefono Oliver per accorgersi di me. Con passo felpato uscii dal portone e presi la bici. Spike mi guardava come in attesa, gli sorrisi contenta.

«Sarò subito a casa, va bene? Aspettami!» dissi avviandomi.

La casa di Arthur era decisamente più lontana di quella di Aaron ma poco mi importava. Pedalavo più veloce che potevo, ero stufa di questa situazione, di questa guerra fredda che avevo instaurato tra noi. E dovevo capire meglio i miei sentimenti decisamente, dovevo evitare di creare più feriti nella mia strada, proprio come aveva detto Oliver. Come poteva essere così saggio a parlar di amore, così bravo nel suo lavoro ed essere così scarso nella vita reale? Forse c'è qualcosa che separa la vita professionale è la vera vita, non ne ero sicura. Ormai era quasi buio, il cielo aveva preso una sfumatura rossiccia che dava quel minimo di luce accogliente, non invasivo come il sole di mezzogiorno, oppure il completo buio della notte, ma una luce soffice e tranquilla. Arrivai sotto casa di Arthur e scesi buttando la bici a terra e andai a suonare al campanello. Il portone si aprì subito e corsi dentro il vialetto fino ad arrivare alla porta. Sull'uscio si trovò una bellissima donna con i capelli corti, ben aggiustati in boccoli, biondi come il grano, occhi azzurri come il mare calmo. Doveva essere la mamma, perché non riuscivo a collegare propriamente chi fosse.

«Ciao... Non ti ho mai visto qui» disse le accigliandosi.

«Sono amica di Arthur, signora» risposi imbarazzata.

«Signora?» Disse scoppiando a ridere «Non darmi della signora, dammi del tu, cara, mi fa sentire vecchia. Arthur è in camera sua. Dritto a destra»

Lei si spostò per farmi entrare. La casa la ricordavo perché qui scoprii il famoso giornale su Oliver, camminai sul pavimento di legno lucido lentamente e girai l'angolo. C'era una porta in legno e bussai aspettando una risposta. La sua camera era appena alla destra dell'ufficio del padre, fin troppo vicina a quei vecchi ricordi dolorosi ma allo stesso tempo significativi. Sentii dei passi striscianti e aprì per poi stagliare il suo sguardo su di me accigliandosi. Aveva i capelli scombinati, un pigiama con una manica tirata su, gli occhiali storti, probabilmente dormiva, ma sembra strano a quest'ora.

«Sto ancora sognando?» Chiese con voce impastata.

«Parliamo, di quella sera» risposi guardandolo.

Come se fosse un sognoDove le storie prendono vita. Scoprilo ora