Capitolo 30 (Christine's POV)

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Ero in ritardo, come al solito ormai, non facevo altro che andare a dormire tardi per svegliarmi all'ultimo momento. Salii le scale dell'istituto correndo, avevo gli stinchi e i polpacci in fiamme per lo sforzo. Ero in ritardo di quarantacinque minuti, il mio primo giorno del mio secondo anno di superiori. Già i miei professori non erano molto contenti dei... Miei comportamenti devianti, se vogliamo metterla in questi termini. Arrivare in ritardo incentivava l'odio generale del mio bellissimo cast di professori stravaganti. Dopo anni di baseball correvo come un razzo, ma a quanto pare stavo pensando troppo al mio ritardo per badare a cosa avevo d'avanti a me. Mi andai a scontrare con qualcuno facendolo sbattere contro gli armadietti con un rumore tonfo mentre io rotolai a terra di fronte a me in modo non troppo aggraziato, se dovevo valutare la caduta. Sentii un mugolio alla mia destra.

«Caspita, Christine. Non c'era bisogno di farmi venire una commozione cerebrale al mio primo giorno di scuola» mugolò con un gemito Arthur al mio fianco.

Lo guardai ed era seduto a terra contro gli armadietti blu elettrico che si teneva la testa ad occhi chiusi.

«Scusami, Arthur» risposi mettendomi a carponi raccogliendo quei due quaderni che avevo portato.

Lui sospirò e si issò in piedi aiutandosi con la mano destra poggiata a terra e mi porse la mano per aiutarmi ad alzarmi. Ero ancora abbastanza stordita dalla caduta e probabilmente lo guardai con un espressione smarrita.

«Dai, non fare la dura, tanto lo so che fai solo finta» disse guardandomi annoiato.

«Ti piacerebbe...» esclamai alzandomi senza prendergli la mano «Che faccia finta»

Iniziammo a camminare fianco a fianco, mi soffermai a guardarlo. Era da qualche mese che non lo vedevo -ero in vacanza- ed era sempre il solito Arthur. L'estate scorsa mi ha superato in altezza, aveva i suoi soliti capelli mossi castano chiaro, occhi azzurri come ciel sereno, la mascella e la mandibola erano più definite, più spigolose e aveva messo su qualche chilo ben rapportato al corpo, almeno non sembrava più un manico di scopa. La montatura dei suoi occhiali rotondi risplendeva con la luce del corridoio. Era vestito con una giacca scamosciata beige aperta che lasciava vedere un maglione a collo alto di lana bianco, aveva dei jeans celeste chiaro e delle dottor martin bianche.

«Quand'è che parleremo di quella cosa che è successa, Christine?» chiese lui abbassando un po' la voce.

«Non ci pensare, e abbassa la voce, sai com'è Aaron, quello ha le orecchie anche nei muri» risposi a bassa voce scoccandogli un'occhiataccia. 

Lui scoppiò in una risata amara scuotendo la testa lentamente.

«Siccome non lo sa già» commentò scoppiando a ridere di nuovo.

«Se lo sapesse ti ci avrebbe preso in giro, e avrebbe preso in giro anche me» spiegai pragmaticamente.

«Dopo tutti questi anni non lo conosci ancora?» chiese retoricamente guardandomi con un'espressione stupita «Sta aspettando il momento giusto per cacciarlo fuori»

«Non è così!» esclamai risoluta.

«Come vuoi» rispose mettendosi le mani in tasca «Prima poi dovremmo parlarne no?»

«Senti!» esclamai bloccandolo da un braccio «Non ci sta nessun bisogno di ricacciarla fuori, smettila di parlarne o di chiedermelo»

Lui spostò il mio braccio con uno strattone e annuì scocciato. Mi mancano già le Hawaii, solo stare in questo istituto mi faceva venire i nervi. Nel corridoio C trovammo Aaron e April che conversavano animatamente e corsi in contro ad Aaron per abbracciarlo.

«Aaron!» esclamai stringendolo «Mi sei mancato»

«Anche tu, rossa!» rispose lui stringendomi forte.

Come se fosse un sognoDove le storie prendono vita. Scoprilo ora