26. Io non piango

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«"Ho visto un gatto,
che aveva la coda
allacciata a un letto,
che aveva le ali
flosce sulla terra,
che aveva la bocca,
e il gatto si mangiò!"»

«Tesoro, devo parlare con i tuoi maestri?» la signora Thompson si volta a guardare la figlia, seduta nei sedili posteriori dell'auto che ci sta portando a scuola.

Perrie è intenta a cantare questa bizzarra filastrocca da quando ho accettato un passaggio dalla madre di Kyle e ho esclamato "Certo!" alla sua domanda impaziente: "Vuoi sentire la filastrocca del gatto che ho imparato a scuola?"

Non mi aspettavo che questo gatto facesse una fine tanto brutta.

Sono passati sedici minuti e la mia mente ora riesce a figurare solo un gatto che viene inghiottito dalla terra.
Per lo meno, ha distolto i miei pensieri da ciò che realmente mi tormenta da tutto il fine settimana.

Ho trascorso questi due giorni in casa, come ogni altro sabato e domenica, immersa nello studio. È sempre stata una scusa per rifugiarmi in camera mia nei giorni in cui mio padre non doveva lavorare.

Questa volta non è andata diversamente. Il mio malumore è passato inosservato e lui si è nuovamente attaccato alla bottiglia.

«Non l'ho imparato dai maestri.» replica Perrie, in piedi davanti al sedile del passeggero in cui siede Kyle e con le esili braccia attorno al collo di quest'ultimo. «Ma da Alex.»

«Alex l'antipatico che ti tira i capelli?» indaga il fratello, aggrottando le sopracciglia in uno sguardo severo.

Perrie annuisce. «Lui è uno scrittore. Ha fatto una poesia per me in cui mi chiedeva scusa.»

«Non accettare. Quello è un bullo.»

«Troppo tardi.» Perrie torna a sedersi al suo posto e sorride con soddisfazione, dando vita a una fossetta sulla guancia. Il volto di Kyle diventa bianco come la neve alla scoperta di un possibile piccolo amore di sua sorella.

Trattengo una risata e volto la testa verso il finestrino.

Una volta lasciata Perrie a scuola, la signora Thompson provvede ad accompagnare anche me e Kyle. Avendo la giornata libera, ha risparmiato al figlio la tortura di usufruire di un autobus e lui ha salvato anche me.

«Grazie del passaggio, mamma.» Kyle si china sul finestrino abbassato e le lascia un bacio sulla guancia.

«Di niente, tesoro.» sorride lei, prima di rivolgersi a me. «Un giorno di questi vieni a cena da noi, ti va?»

Come dicevo, gentile.

Ho sempre rifiutato con garbo i suoi inviti a orari in cui era impossibile per me presentarmi, ma alcune volte noto in lei un leggero risentimento. Mi porta a pensare di risultare diffidente e ingrata, o che lei cominci a trovarmi una persona presuntuosa con cui non ha piacere di parlare.

Kyle, non potendo rivelare le mie vere motivazioni, mi ha sempre coperto, seppur questo significasse difendermi anche davanti a sua madre.

«Certo che sì.» rispondo con un sorriso cordiale. «Chiederò il consenso a mio padre.»

«Ci posso parlare io, se vuoi.» si offre, ma il "no" spontaneo di me e Kyle la fa sussultare.

«Insomma...» tento di rimediare con una risata, che risulta più carica di nervosismo di quanto sperassi. «è sempre molto impegnato. Sono certa che non me lo vieterà. Ma la ringrazio...»

«Alyssa.» mi anticipa, impedendomi di chiamarla, come sempre, signora Thompson.

«Ti ringrazio, Alyssa.»

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