41. Tutto il tempo del mondo

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Guardo l'ora sul mio cellulare, infilandomi l'altra scarpa. Gabriel dovrebbe essere qui a momenti.

«Ora ti lascio, Sophie. Rimettiti presto.» mi dice l'infermiera, avviandosi verso la porta. Appena varca la soglia, si ferma, voltandosi nuovamente verso di me. «C'è il tuo ragazzo.»

Annuisco, rimettendomi seduta sul lettino d'ospedale. «La ringrazio.»

Faccio dondolare i piedi fuori dal letto, sbuffando. Afferro il telefono che avevo appoggiato sul cuscino, datomi dal signor Thompson senza accettare repliche, e lo infilo nella tasca dei jeans.

«Ehi, ragazzina.»

Al suono della sua voce le mie labbra formano un sorriso, mentre mi volto a guardarlo entrare dalla porta.

Bello come sempre: una maglietta a maniche corte nera, dei jeans del medesimo colore strappati sulle ginocchia e il solito cappello con la visiera rivolta in avanti. I capelli scompigliati e lo sguardo sereno misto al sonno mi fanno imbambolare per qualche secondo.

Uno come lui dovrebbe seriamente essere illegale.

Si avvicina a me, dopo aver chiuso la porta. Un sorriso gli sorge sulle labbra quando gli circondo il collo con le braccia.

Avvicinato le labbra alle mie, mi lascia un bacio su di esse, con la visiera del cappello che colpisce la mia fronte. «Sei venuto direttamente da scuola?» gli chiedo.

Lui annuisce. «Non si nota? Sto per dormire in piedi.»

«Tu dormi sempre in piedi.» ridacchio.

Gabriel allaccia le braccia dietro la mia schiena, posizionandosi tra le mie gambe. Mi attira a sé e mi lascia un bacio.

Questa volta lo trattengo, muovendo le labbra contro le sue dolcemente. Il mio cuore, ovviamente, comincia a battere più forte, mentre le dita, allacciate dietro la sua nuca, tremano leggermente dall'agitazione.

Mi viene da pensare che sia troppo bello per essere vero. «Stai bene? Ti fa male la ferita?» mi chiede, accarezzandomi la guancia.

Sospiro. «Un po'. Infatti dovrò usare quelle per alcuni giorni.»
Gabriel segue il mio sguardo, puntato sulle stampelle appoggiate al divanetto bianco davanti alla parete. Ora riesco a camminare, grazie alle passeggiate con l'infermiera in queste quasi due settimane, ma, probabilmente, se mi attraversasse una fitta di dolore, cadrei a terra. Posso solo dire che odio camminare in giro con quelle. Sono scomode e la gente ti guarda come se fossi sul punto di morire.

«Okay, andiamo.» esclamo, scivolando giù dal letto.

Alla fine ho deciso che sarei rimasta come ospite a casa dei Thompson. Sarà per poco tempo, il necessario per guarire totalmente e cercarmi un lavoro. Ma questa sera rimarrò da Gabriel.

Ha insistito parecchio purché mi trasferissi da lui, e dopo i miei ripetitivi no, alla fine mi ha chiesto di passare almeno una sera a casa sua, ora che posso.

«Aspetta.»

Gabriel rimane fermo, tenendo il mio corpo bloccato tra il suo e il letto. Si porta una mano tra i capelli. Questo già mi fa capire che ciò che sta per dire lo frustra.

«Che succede?» gli chiedo.

Lui sospira. «Mio padre è qui fuori che ci aspetta. Ha detto che sarebbe venuto a prenderci e ci avrebbe accompagnati a casa mia, dato che non è potuto venire a trovarti qui in ospedale.»

«Oh.» esclamo, sorpresa.
Non mi aspettavo di vedere proprio oggi il padre di Gabriel.

«Credo che voglia parlarmi.»

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