35. Non dubitare mai

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Infilandomi velocemente le scarpe, afferro al volo lo zaino ed esco di casa.

Gabriel è sulla sua moto, il casco sottobraccio e la testa appoggiata sul palmo della mano, annoiato. Appena mi nota, sospira e si raddrizza.

«Sei in ritardo.» afferma, porgendomi il casco.

«Oh no. Vuoi lasciarmi a piedi?» chiedo in tono sarcastico, divertita.

Gabriel versa gli occhi al cielo. Gli angoli della sua bocca si sollevano velocemente, quando si sporge verso di me. Mi circonda la vita con un braccio e mi attira a sé.

Stringo le labbra a quel gesto, percependo un'ondata di dolore attraversarmi il fianco. Istintivamente, indietreggio, sfuggendo alla sua presa e sperando che il dolore mi passi in fretta.

«Che c'è?» l'espressione di Gabriel maschera una certa preoccupazione, un frammento delle emozioni che ieri ha deciso di mostrarmi.

«Niente.» mi avvicino e gli avvolgo le braccia attorno al collo. «Mi è tornato in mente una cosa. Dicevamo? Che sono in ritardo e che vuoi lasciarmi a piedi.»

Lui ride, una risata così serena e genuina che mi scalda il petto.

«L'ultima parte l'hai inventata.» dice, vicino al mio viso.

«L'ho intuita.» le nostre labbra si ritrovano quasi attaccate. «E ora intuisco che vuoi baciarmi.»

Mi guarda con un sorrisetto malizioso sulle sue labbra chiare, che lo rende tanto arrogante quanto tremendamente affascinante.

Un secondo dopo preme le labbra contro le mie, unendole in un dolce bacio. Mi dimentico di provare dolore al fianco destro per qualche minuto, godendomi questo momento e pensando che è un'ottima medicina per le mie ferite, che lui nemmeno sa di star curando. Incapace di fermarmi, mi spingo maggiormente contro di lui, facendolo ridere.

«Ho constatato che hai un ottimo intuito.» sussurra.

«Già. Anche per le situazioni di guai, se ora non andiamo a scuola.» mi allontano quando prova a ritornare sulle mie labbra, provocandogli un finto broncio che mi fa ridere.

Mi infilo il casco e mi stringo a Gabriel, quando parte, appoggiandomi alla sua schiena e chiudendo gli occhi.

Sento il vento caldo spostarmi i capelli e sfiorarmi la pelle del collo, ma non dura molto. Arriviamo a scuola nel giro di dieci minuti. Rimango attaccata a lui, nonostante siamo fermi nel parcheggio e Gabriel abbia spento il motore.

«Soph.» mi chiama, posando le mani sopra le mie, le quali sono ancora allacciate sul suo busto.

«Hm?» mugugno solo, incitandolo a continuare, ma quando non sento una sua risposta, alzo la testa e mi sporgo per guardarlo in viso. «Va tutto bene?»

«Sì, ecco...» balbetta, prima di emettere un sospiro e torcere il busto per voltarsi verso di me. Incatena i suoi occhi magnetici ai miei, la sua espressione sembra esitante e tesa.

«Qualcosa ti preoccupa?»

«No.» decide di lasciar perdere. «Non è niente, tranquilla.»

Lo guardo a lungo, senza capire perché sembri così agitato, aspettando che magari si convinca a parlare. Quando non lo fa, annuisco e scendo dalla moto.

Gabriel mi segue, infilando le chiavi nella tasca posteriore dei jeans. Affiancandomi, mi circonda il collo con un braccio e mi rivolge un sorriso incerto, che io ricambio con uno rassicurante.

Arrivati in classe, raggiungiamo Kyle, seduto al suo banco, le cuffie nelle orecchie e lo sguardo rivolto al libro di economia.

Appena prendiamo posto accanto a lui, alza lo sguardo e si toglie velocemente gli auricolari, per poi sospirare.

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