39. Perdonare i propri errori

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Vorrei proprio non ricordare quel momento, che il fatto che sia successo tanto tempo fa abbia fatto sì che il ricordo smettesse di rattristirmi.

Ma non è così.

Ogni volta che mi guardo allo specchio e vedo quella ferita ormai chiusa, i ricordi tornano come un turbine.

Quel giorno di due anni fa è stato tremendo. Ero tornata da scuola. Pensavo che me ne sarei rimasta da sola in camera, come tutti gli altri giorni, ma una volta entrata in casa trovai mio padre ad aspettarmi. Fu più violento del solito, e io stetti più male. Ancora non conoscevo Kyle, a quel tempo. Non avevo nessuno da cui andare per distrarmi e non pensare.

Questa consapevolezza mi fece tanto male, che le lacrime cominciarono a scendermi dagli occhi. Tutti i miei pensieri si accumularono, pronti a colpire. Non sapevo se sarei stata in grado di sopportarlo.

Ero accasciata sul pavimento, con la testa nascosta tra le ginocchia. Urlavo e piangevo, perché ero sola, perché mio padre mi odiava, perché non riuscivo neppure ad amare me stessa.

Il fatto di sentirmi così male, così sbagliata, mi stava piano piano schiacciando.

In quel momento non ho pensato. Se fossi stata più ragionevole, meno impulsiva, non lo avrei mai fatto.

Avevo la lama tra le dita, sospesa sopra il polso. La mano mi tremava, ma non ce la facevo.

Ho pensato che servisse farlo in un posto non visibile, dove nessuno avrebbe potuto notarlo, dove nessuno avrebbe potuto vedere quanto fossi debole.

E così mi feci un profondo taglio sul fianco. Sanguinavo, provavo dolore, ma la testa stava per scoppiarmi.
Sentivo un turbine di emozioni attraversarmi tutte in una volta.
Pensavo che a momenti sarei svenuta.
Ma non successe.

Io rimasi lì, nel pavimento freddo, a soffrire. Fui così felice che non ci sarebbe stato nessuno a cui dare spiegazioni del dolore, il giorno seguente, ma allo stesso tempo ne fui ancora più addolorata.

A distanza di anni, io mi sento ancora debole, mi sento arrabbiata con me stessa e triste, per quella me.

Sono ancora quella ragazza fragile, perché mio padre ha sempre fatto in modo che i miei "sei forte" fossero falsi, e io gliel'ho lasciato fare. Ma mi sono ripromessa che mai più mi sarei punita così, che avrei cercato di andare avanti e che avrei costruito un muro indistruttibile attorno a me.

E, per una volta, ne sono fiera. Perché se fossi rimasta quella ragazza, io non avrei mai permesso a Kyle di entrare nella mia vita, come non avrei fatto con Gabriel.
La ragazza che sono ora non è più sola, e la ragazza che ero so che sarebbe fiera di me.

«Lo so a cosa stai pensando.» dico, Gabriel è ancora di fianco a me.

I suoi occhi sono sulla mia cicatrice, indecifrabili.

«Che sono debole, che non avrei dovuto ricorrere a questo metodo per alleviare il dolore, che probabilmente ti faccio schifo. Puoi dirmelo.»

Non lo sa nessuno, a esclusione di Kyle. Di lui mi fido, per questo gliel'ho rivelato, tempo fa. Anche di Gabriel mi fido, per questo gliel'ho detto, ora.

Forse non sta pensando a niente di ciò che ho detto, ma non voglio parlare troppo presto, per poi magari rimanere delusa.

«Non lo penso.» dice lui, tirandosi su.

A sedere accanto a me, mi afferra le mani nelle sue e mi aiuta a mettermi nella sua stessa posizione. Prende la maglietta che giace ancora al mio lato destro e me la infila cautamente.

Mi osserva intensamente, con una mano stretta alla mia e l'altra sulla mia guancia.

«"Il ragazzo che ha commesso quell'errore sei sempre tu. Più giovane, più impulsivo e più sofferente."» dice Gabriel, facendomi alzare gli occhi sui suoi.

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