37. Mentre io muoio

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Quando apro gli occhi, non riesco a vedere nient'altro che luce. Un bianco immacolato e accecante mi costringe a richiuderli. La mia schiena aderisce a qualcosa di morbido. Sembra un letto. Provo a mettermi a sedere, sbattendo ripetutamente le palpebre per adattare gli occhi alla forte luminosità.

Mi trovo in una stanza completamente bianca, una poltrona del medesimo colore è appoggiata al muro. Riesco a notare una sagoma nera, seduta su di essa.

Ha la testa china, le mani tra i capelli. Appena alza lo sguardo, lo riconosco. Balza rapidamente in piedi e si avvicina con passo svelto verso di me.

Il suo volto è stanco e marchiato dalle rughe, gli occhi cerchiate di rosso, l'espressione preoccupata.

Preoccupata?

Guardo il mio corpo steso sul lettino d'ospedale, i fili attaccati alle mie braccia mi fanno spalancare gli occhi.
Un lenzuolo bianco mi copre il corpo.

«Tesoro...» sussurra mio padre, in piedi accanto al letto.

Si china di poco su di me, ma io mi allontano di scatto, continuando a guardarlo confusa e spaventata.

«Cosa...?»

Lui sorride. I muscoli della faccia si contraggono, le sopracciglia si rilassano. I suoi occhi cominciano a lacrimare.

«Sei sveglia, finalmente.» dice, accarezzandomi una guancia.

Appoggio la mia mano sulla sua, ricambiando il sorriso.
Ma questo scompare dal mio volto quando le mie dita entrano in contatto con qualcosa di liquidi. Allontano di scatto la mano, guardando la mia pelle macchiata di sangue.

Il liquido rosso è vivido e ancora fresco sulle mie mani, quando alzo lo sguardo su mio padre.

La sua espressione è cambiata. Nessuna traccia della dolcezza, della paura e della preoccupazione di qualche secondo fa.
Un ghigno prende possesso delle sue labbra, mentre mi osserva le mani.

«Stai morendo.» sussurra con fare da scellerato. «Finalmente.»

Passo lo sguardo dalle mie mani al mio corpo. Ora sulla coperta bianca giace una grande macchia rossa, che si estende sempre più. Un dolore allucinante mi pervade, facendomi contorcere in avanti. Mi raggomitolo su me stessa, mentre mio padre ride.

Anche le sue mani sono macchiate di sangue, ora. Tra di esse stringe un oggetto luminoso e affilato.

Tiene la lama sollevata accanto alla testa, le labbra ora aperte in sorriso sadico. E ci mette pochi secondi ad abbassarla su di me, con forza e aggressività.

Una volta, due volte, tre volte.

Mentre io muoio.

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Mi sveglio di soprassalto, le lacrime agli occhi e le urla gettate incessantemente dalla mia bocca.

«Ehi, ehi. Soph, piccola mia, guardami.» odo la voce di Kyle, ma mi pare distante.

Due mani mi afferrano per le spalle. Mi allontano di scatto, portandomi le braccia sulla pancia e abbracciandomi con forza. Come se potessi scomparire. «Non toccarmi!» gli urlo, in preda alle lacrime. «Non toccarmi! Lasciami! Non farmi del male!»

Scorrono calde e veloci sulle mie guance, mentre nascondo il volto tra le ginocchia.

Sto morendo?
Provo un così forte dolore.

«Piccola...» la voce di Kyle è spezzata. Lo sento deglutire. «Ti prego, guardami. Sono io, sono Kyle.»

Le sue mani si appoggiano sulle mie, mentre alzo lentamente lo sguardo su di lui. Il suo volto è stanco, due buchi giacciono sotto i suoi occhi azzurri, ora lucidi.

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