44. Chiunque si innamorerebbe di Kyle

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Sento le palpebre sollevarsi piano piano, mentre una luce bianca mi punzecchia fastidiosamente gli occhi.

Sono sempre in quella stanza, bianca in ogni parete, pavimento, oggetto, stesa nel letto.

C'è sempre quella figura seduta nel divanetto, che solleva lo sguardo appena io lo punto su di lui. Si apre in un sorriso pieno di sollievo, mentre si alza con una certa urgenza e si avvicina a passo svelto a me.
Io non posso allontanarmi. Sono come bloccata, costretta a subire questo ogni volta.

Mio padre rimane immobile davanti a me, allungando solo una mano verso il mio viso. Mi accarezza la guancia in movimenti lenti, e io sorrido.

Come posso sorridere?

«Tesoro, sei sveglia finalmente.» dice con un filo di voce, come se usare un tono più alto potesse farmi male.

Ma lui mi ha già fatto male. Perché io non sto reagendo?

«Papà...» dalle mie labbra esce solo un sibilo.

Mio padre annuisce freneticamente, con un sorriso carico di emozione, chinandosi per darmi un bacio sulla fronte. Vorrei urlare, provo a urlare, ma nulla esce dalle mie labbra. Sono bloccata.

«Ti voglio bene, tesoro mio.» mi sussurra.

Io sto ancora sorridendo.

Non ci credo. Alle sue parole, intendo. Allora perché mi rendono felici?

«Mi vuoi bene?» la mia voce è spezzata.

Appoggio la mano sulla sua, ancora posata sulla mia guancia, e il mio sorriso scompare, perché le mie dita entrano in contatto con una sostanza liquida.

Mi porto la mano davanti agli occhi, ora vedo il sangue fresco appiccicato alla mia mano. Sta colando in piccole gocce sul lenzuolo, dove un'altra macchia rossa sta cominciando a dilungarsi. All'altezza del mio stomaco, il sangue ricopre la superficie bianca e linda.

Quando alzo lo sguardo su mio padre, non c'è più traccia della sua espressione preoccupata, niente dell'amore che ho visto in questi pochi minuti.

Ha un ghigno sulle labbra, le rughe ora sono più in evidenza, mentre comincia a ridere. Una risata glaciale, capace di gelarmi il sangue nelle vene.

«Stai morendo.» dice con voce roca e maligna.

Non riesco a parlare, né a urlare, mentre lui solleva improvvisamente il coltello in aria. La luce si riflette sulla lama, mentre mio padre ha ancora lo sguardo rabbioso su di me, colmo di soddisfazione ed eccitazione.

Ci vogliono pochi secondi prima che la lama si conficchi nella mia pelle. Una volta, due volte, tre volte. E io non posso fare altro che morire.

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Mi sveglio di soprassalto, avvolta dalle urla, le mie urla. Le lacrime mi scorrono sulle guance senza che io le controlli, mentre non riesco a fermarmi dal gridare con tutta la voce che possiedo.

Mi alzo a sedere, portandomi le ginocchia al petto e le mani a coprirmi la faccia.

«Ehi Soph! Soph, ehi, guardami!» una voce mi arriva alle orecchie, mentre subito dopo sento due braccia avvolgermi le spalle.

Mi dimeno, urlando. «Lasciami! Non toccarmi! Non mi toccare, basta!»

Sento il corpo andare in fiamme, il dolore della ferita divorarmi, la testa scoppiarmi. Le lacrime non smettono di scendere.

«Sono Gabriel, ragazzina. Guardami.»

Cerco di regolare il respiro e attenuare i singhiozzi, cercando di ricacciare le lacrime indietro, quando mi convinco che non devo avere paura con lui. Gabriel mi tiene stretta al suo petto e mi accarezza i capelli, sussurrandomi parole dolci e pacate all'orecchio, ma percepisco la paura e la preoccupazione che scombussolano il suo tono.

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