Capitolo 2

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Con questo capitolo non vorrei assolutamente far passare il messaggio di non denunciare, ma mettere in evidenza il comportamento di chi subisce violenza. Non tutti trovano il coraggio e la forza di denunciare, perché molte volte nelle vittime scaturisce il senso di colpa. Non sono una psicologa e mai lo sarò, ma ecco ci tenevo ad evidenziare questo comportamento.
Non denunciai mio padre quando raggiunsi la maggiore età, nè me ne andai di casa. Dove potevo andarmene senza essere un peso per qualcuno. Mi sarei trovata un lavoro al più presto, anche se era di mia volontà continuare gli studi. Sarei andata a studiare a Milano insieme a Bea, lontana da lui.
Era ora di cena, così apparecchiai il tavolo. Mio padre era davanti alla televisione con in mano la birra. Ogni sera così, era un loop in continua ripetizione. Ero stanca di questa vita. Stanca di lui.

<<Papà>> Dico posizionando i piatti sul tavolo.

<<Dimmi tesoro>>

<<Senti ho finito la scuola.>>

<<Lo so. Finalmente avrai un sacco di tempo da dedicarmi>> Dice sorridendo

<<Io avevo pensato di iscrivermi all' università, posso?>>

<<Tesoro mio, non esiste. Ormai sei maggiorenne, ti sto trovando un lavoro. Ti troverai bene>> Ammette.
Il mondo mi crollò addosso. Non mi aspettavo certo che mi dicesse di si, ma una parte di me ci sperava.

Non dissi più nulla, presi da mangiare e lo misi nel piatto.

Mio padre incominciò a parlare del suo lavoro. Del  fatto che fare il meccanico non andava più bene e che stava collaborando con un suo vecchio amico.

<<Raggiungimi in camera>> Dice alzandosi senza curarsi se anche io avessi finito di mangiare.
Sapevo perfettamente cosa significassero quelle parole. Non toccai cibo. Lo buttai anche se dispiaciuta, perché ricordavo le parole di mia madre.
<<Bella, il cibo non si butta. E' un dono di Dio. Dobbiamo sempre ringraziarlo perché stiamo bene. Ci sono bambini, anche più piccoli di te, che non hanno da mangiare.>>
Lavai i piatti sporchi e mi asciugai le lacrime che scendevano lungo le mie gote. Alcune si fermavano proprio sulle mie labbra dove riuscivo a sentirne il sapore salato. Me ne andai dritta nella mia stanza, ma venni chiamata  da lui.
<<Dimmi papà>> Dico aprendo la porta

<<Ti avevo detto di venire qui, dove stai andando?>> Domanda

<<Papà è sabato, vado a dormire da Bea>>

<<Si, ma prima vieni qui. Devi soddisfare la mia voglia>> Dice abbassandosi i boxer.

Era nudo. Davanti i miei occhi. Respinsi un conato di vomito.

<<Non posso>> Dico senza pensarci troppo.

Mi afferra per il braccio spingendomi verso di lui.

<<Ho le mie cose>> Dico con fatica dimenandomi.

<<Non fa nulla piccola>>

Chiusi i miei occhi, reprimendo le lacrime che cercavano di uscire in tutti i modi.
In un secondo mi privò di tutti i miei vestiti.
<<Papà per favore.>> Lo supplicavo mentre mi spingeva ed io mi dimenavo. Lui era più forte di me.
<<Dato che non vuoi fare la brava, ti devo punire.>> Dice prendendo i pantaloni che erano a terra e sfilandone la cintura. Ero piegata sul letto, nuda. I miei seni premevano contro il materasso.
<<Fa la brava>> Continuava a dire afferrando le mie mani e con una presa ben salda me le teneva dietro la schiena. Chiusi i miei occhi, non avevo tanti momenti belli a cui pensare, dato che tutta la mia infanzia era stata rovinata dal mostro. Sapevo cosa mi aspettava e quando arrivò il primo schiocco di cintura contro la mia schiena, le lacrime scesero sole. I miei occhi incominciarono a bruciare e tra le mie urla e il rumore della sua cintura che sbatteva più volte contro la mia pelle, diede inizio al solito calvario.
Non sapevo cosa fosse peggio. Pensai che potevo star zitta e lasciare che lui prendesse possesso del mio corpo, oppure lamentarmi e lasciare che il solito dolore si espandesse lungo tutto il mio corpo. Questa era la pena che dovevo sopportare.
***
Prima di arrivare a casa di Bea, mi ero assicurata che sua madre ancora non fosse tornata a casa ed una volta salita in camera sua andammo nel suo bagno dove, lei si prese cura delle ferite che sanguinavano.
<<Io non so perché non lo denunci>> Dice Bea premendo il dischetto di cotone con il disinfettante sulla mia schiena.
<<Non lo so neanche io.>>  Avrei voluto tanto denunciarlo, ma mi mancava il coraggio. Non ero abbastanza forte.
Quando Bea finì, andammo nella sua stanza e la vidi abbastanza euforica.

Un angelo senza le aliDove le storie prendono vita. Scoprilo ora