Introduzione

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~Austria. Novembre 2014

Degli spari rimbombano nelle mie orecchie, mentre vari suoni che non riesco ad identificare sembrano avvicinarsi, come se qualcuno mi stesse cercando.

Ho paura. Non so dove sono e non capisco cosa stia succedendo.

Provo ad aprire lentamente gli occhi, sbattendo più volte le palpebre per abituarmi alla luce, peccato che sia solo quella delle lampade a neon che, come ogni giorno, mi ritrovo puntata addosso.

Non me la ricordo neppure la luce del sole, ma a volte mi piace immaginare di essere nuovamente libera, di correre tra l'erba verde del mio giardino e sentire il calore di quella magica stella sulla mia pelle.

Un altro sparo. Più forte.
Seguito da uno di quei rumori strani: tipo un martello gigante che rompe qualcosa di solido.

Alzo lievemente il capo, ma mi rimetto immediatamente distesa, richiudendo gli occhi e respirando debolmente.

Non ce la faccio. Non ho neanche la forza di muovermi.

Un brivido mi percorre la schiena, dovuto probabilmente al freddo letto di metallo su cui sono stata incatenata oggi.
Catene composte da flebo e tubicini vari, ma pur sempre catene.

«Avanti popolo! Ormai abbiamo terminato e dopo siete tutti invitati a casa mia per festeggiare!»

Una voce metallica grida queste parole. Si sta avvicinando.
È un robot? Non lo so, non ho mai visto un robot.

«Smettila Stark, dovresti prendere queste missioni più seriamente»

A parlare questa volta è un uomo, che ha puntualmente rimproverato il robot.
Un uomo, sì, ma... La sua voce... Io...

I due continuano a "litigare", molte volte alternandosi con una voce femminile e altre maschili, più uno che grida in modo disumano. Continua a ripetere che non gli piacciono le scale e vuole "spaccare".

Devo andarmene da qui.

Riprovo ad alzarmi, mettendoci questa volta tutta la mia forza di volontà, sentendo le bende tirare e qualcosa di plastica rompersi. Vorrei gridare di dolore, ma è come se la mia bocca fosse sigillata. Appoggio i gomiti e gli avambracci sul lettino, facendo leva per mettermi seduta. Posso farcela, anche se ancora non voglio aprire gli occhi. Vedere la luce è una cosa, ma guardare come mi hanno ridotta è un'altra.

«Hey ragazzi, manca ancora una stanza da controllare. Stark, ci pensi tu?»

«Ai tuoi ordini Romanoff! Basta che dopo stai a distanza di sicurezza dalla mia azienda»

Stanno arrivando... Mi stanno cercando!
È ovvio, vogliono il mio sangue anche loro, il mio DNA.

Ricacciando indietro una lacrima obbligo ogni muscolo del mio corpo a collaborare, sentendoli pulsare come carne viva e tremando in modo involontario come foglie al vento, riuscendo finalmente a sedermi.
Una foglia, ecco cosa sono. Una foglia in autunno, pronta a cadere a terra e morire.
Perché non mi lasciano morire in pace? Dopo possono prendersi tutto il sangue che vogliono, non mi importa, ma almeno che la smettano di farmi soffrire.

Dei passi pesanti si avvicinano, sormontati dal frastuono di circuiti e giunture (credo).

È il robot! È lui, è qui per catturarmi!

Apro gli occhi di scatto, puntando lo sguardo a terra ma incrociando accidentalmente le mie gambe, bianche come un lenzuolo e ridotte a pelle e ossa, coperte appena da questo straccetto sporco di polvere e sangue che ho come vestito.

«Natasha...»

Mi volto verso la voce che ha parlato, vedendo un robot rosso e oro a grandezza umana avanzare lentamente verso di me.

«Sì, Stark?» risponde una voce da fuori, seguita dall'arrivo di una donna.

«No» risponde lui, facendo qualcosa di inaspettato e quasi involontario

Si avvicina ancora di un passo, in modo da non essere proprio sulla soglia della porta, per poi aprirsi in due e far comparire un uomo che era nascosto al suo interno.
Quindi... Il robot cattivo in realtà era un'armatura? Sì, ha senso.

L'uomo sconosciuto mi fissa a lungo, penetrandomi con i suoi occhi marroni e passando il suo sguardo su tutto il mio corpo ma soffermandosi sulle flebo che, in un modo un po' contorto, mi stanno bloccando in questo inferno.

«Natasha...» ripete più dolcemente, guardandomi

Io non rispondo, sentendo la presenza degli altri uomini riempire la stanzetta

«Natasha» mi chiama lui, avanzando ancora e sfiorandomi con una mano «Io... Io ti credevo morta. E... E perché dimostri appena vent'anni?! Tu... Tu dovresti...»

«Chi... Chi è lei?» domando a bassa voce, faticando a formare la frase e pronunciarla

Lui sbarra gli occhi scioccato, come se queste parole lo ferissero nel profondo

«'Tasha... Non... Non ti ricordi di me? Di Tony, Tony Stark?»

Io non rispondo, di nuovo, limitandomi a fissarlo. I suoi occhi sono splendidi e il suo sguardo mi è famigliare, sì, ma io... No, non lo conosco. Non credo. Non lo so!

La donna si avvicina, posandomi una mano sulla spalla e provando a calmarmi, ma il contatto non fa che darmi fastidio.

«Okay, tranquilla. Va tutto bene. Sei con noi ora, sei al sicuro» mi sussurra tentando di tranquillizzarmi, lanciando un'occhiata al suo amico dagli occhi belli

Lui però sembra ignorarla, concentrandosi solo su me.

«Natasha, ricordi chi sei?» mi chiede con decisione

«S-sì?»

«Sì?»

Non rispondo, notando una sfumatura di dolore scolorire il suo volto

«Ricordi di chi sei figlia?»

«Sì»

«Okay. Di chi sei figlia, Natasha?»

Sposto lo sguardo verso gli altri uomini, che sembrano più semplicemente incuriositi che veramente interessati... Eccetto uno: un biondo dagli occhi azzurri che sta sulla soglia della porta e sposta lo sguardo da me all'esterno.
La cosa che mi colpisce è il suo abito: decisamente patriotico, con stelle e strisce ed un tantino antiquato, ma la sua postura è... È...
Non lo so, ma...

«'Tasha?» mi riporta alla realtà quello che in teoria si chiama Tony

«Io... Io sono figlia di Margaret Elizabeth Carter, chiamata semplicemente Peggy» rispondo sicura

Il biondo fa uno scatto in avanti sbarrando gli occhi, come se avesse preso la scossa, e si avvicina immediatamente al resto del gruppo, completando la compagnia

«E...?» continua con le domande il tipo.

Io lo fisso un attimo, memorizzando i suoi lineamenti, per poi posare la mia attenzione su Mr. America e guardare i suoi occhi, come per accertarmi che mi stia ascoltando, prima di dare una risposta

«Come si chiamava tuo padre, 'Tasha?»

«... Io l'ho sempre chiamato papà»

IO L'HO SEMPRE CHIAMATO PAPÀDove le storie prendono vita. Scoprilo ora