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Il pianto di Konstantina squarcia il silenzio della notte. Spalanco gli occhi e la cerco nel buio. Mi alzo e raggiungo la sua culletta che è dal lato di Niki che però sembra non essersi accorta di nulla. La prendo in braccio, la cullo, le lascio dei bacetti leggeri sulla testa.
"Shh dai a papà, dormi che è tardi" cerco di farla calmare ma niente, continua a piangere. "Niki, penso che ha fame, le servi tu" smuovo mia moglie che però mugola senza darmi ascolto.
La notte è sempre la stessa storia, lei vuole dormire, la piccola vuole mangiare e chi ci rimette sono io. Non che non voglia farlo ma purtroppo non ho la materia prima e poi la mattina mi devo svegliare presto per gli allenamenti e vado cadendo.
"Falla aspettare, è presto" sbiascica girandosi dall'altro lato.
"Ma che aspettare Niki, dai su, ha fame è una bambina deve mangiare"
"Ho detto che può aspettare, manca mezz'ora alla poppata.."
Mi allontano con la piccola tra le braccia, è meglio se me ne vado o litigo anche stasera con mia moglie. Io devo fare la mia parte, è vero, e la voglio fare ma purtroppo non posso allattare altrimenti l'avrei già fatto. Niki invece non vuole sentire scuse, non vuole essere disturbata. Pensavo che la maternità la addolcisse un po', almeno verso la creatura che ha avuto in grembo per nove mesi ma non è stato così. Fin dai primi giorni dopo il parto è sembrata subito distaccata dalla bambina, come se non fosse la mamma. Dice che è stanca, che quando sono a casa devo badare io a lei e che non vuole occuparsene da sola. Ha ragione ma la verità è che me ne occupo più io che lei e in più ha voluto anche una baby sitter. In pratica non sta mai lei con nostra figlia.
"Dalle il biberon, sono stanca per allattare" la sento dire da lontano e mi incazzo. Torno in camera e alzo la voce cercando di non spaventare la piccola.
"Niki o vieni ora o mi incazzo mh, stai oltrepassando ogni limite. Ma è tua figlia o no? Io non ti capisco" la smuovo ancora sperando in una sua risposta positiva che però non arriva. Si alza, sbuffa e accende la luce. Mi strappa letteralmente la bambina dalle braccia e le piazza un seno in bocca. Konstantina si acquieta ma io no. Mi fa imbestialire il modo in cui tratta me e soprattutto nostra figlia, è come se non la volesse affatto.
Torno a letto e dopo un po' torna anche lei con la bambina ormai addormentata. Dopo tre ore la deve riallattare e stavolta non fa storie.
Verso le otto mi sveglio, faccio la doccia, la colazione e poi vado agli allenamenti.

E' da poco iniziato il nuovo anno, fa freddo ma fortunatamente non piove oggi, così possiamo allenarci all'aperto.
"Non sapevo che Grecia lavorasse da Franzese Moda, l'ho vista ieri" Fernando mi accosta mentre scendiamo al campo e subito le mie orecchie si drizzano.

Grecia, mio Dio. Da quanto tempo non la vedo, da quanto tempo non la sento. Ci penso a lei, spesso, ma non ho mai avuto il coraggio di cercarla dopo il nostro ultimo incontro. Da quel giorno non sono più io, ho paura di me stesso e di ciò che posso diventare, ho paura di fare del male a chi amo anche se sto andando di nuovo dallo psicologo e sto ricominciando a fare gli esercizi per il controllo della rabbia. Pensavo di averla superata ma no e ora sono di nuovo qui a chiedere di lei a chi l'ha vista.

"Ah si? Non lo sapevo nemmeno io. Come l'hai vista?"
"Bene, un po' ingrassata forse, ma bene"
"Mi fa piacere, merita di stare bene. Ci hai parlato?"
"Sì, mi ha aiutato a fare un regalo, è brava nel suo lavoro"
"Lo immagino" annuisco, eccelle in qualsiasi mansione le si affidi, non mi meraviglia che sia brava anche nell'assistenza alla vendita di lusso. "Ti ha detto qualcosa di particolare?" Chiedo ancora.
"No, mi ha domandato come stavo e anche io a lei. Mi è sembrata tranquilla anche se quando mi ha visto un po' si è agitata"
Abbasso la testa e faccio un mezzo sorriso cercando di non farmi vedere. La conosco bene e so che qualsiasi cosa possa essere ricollegata a me la mette a disagio, quindi vedere Fernando lì l'avrà spiazzata un po' per poi tornare alla sua efficienza di sempre.
"E' comprensibile, magari ha pensato che tu me l'avresti detto" alzo le spalle e lui se la ride.
"Non l'ho fatto per portare spia, pensavo che lo sapessi"
Faccio di no con la testa e nel frattempo siamo arrivati al campo.
"Non lo sapevo anzi pensavo che avesse cambiato città"
"A quanto pare no"
"Già" gli do una pacca sulle spalle, poi lui corre in attacco e io in difesa.

Faccio finta di niente, non ne parlo con nessuno, ma saperla così vicina a me, così facilmente raggiungibile, me la fa pensare in continuazione.
Talmente tanto che mi viene quasi da raggiungerla anche solo per vederla un attimo, di sfuggita.

Mancavi tu || Kostas ManolasDove le storie prendono vita. Scoprilo ora