40. Betty e Logan

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Logan.

Sto seduto su uno dei tavoli che si trovano nel terrazzo sul retro del mio ristorante, mangio un po' di churros e penso a quello che avrei potuto fare in questi dieci giorni, ma che da bravo coglione, non ho fatto. Da quando l'ho vista vicino la stanza di Phil non ho fatto niente per cercarla, e nemmeno lei.
Ma come biasimarla! I giorni precedenti l'ho ignorata e quando me la sono ritrovata di fronte l'ho trattata malissimo solo perché ho pensato che così le sarebbe stato più semplice riavvicinarsi a Chuck.
So che dovrebbe spettare a lei decidere quale sia la scelta da fare, ma ho paura che mi rifiuterà e che deciderà di escludermi per stare col suo migliore amico, perciò preferisco chiudere io prima di rimanerci troppo male.
«Logan» mio padre si siede di fianco a me e mi distoglie dai miei pensieri, mi frega un po' del cibo che è sul piatto e prende a mangiare silenziosamente vicino a me.
«Devo dire che sono fiero di te».
«Cosa?» chiedo sorpreso della sua affermazione, non credo di averglielo mai sentito dire in vita mia.
«Sì, il locale, per quanto non mi convincesse inizialmente, sta andando bene, non ci sono stati intoppi e lo stai facendo fruttare più di quanto avessi previsto» annuisco impercettibilmente e guardo un punto fisso di fronte a me «Inoltre» aggiunge «Ho saputo che gli esaminatori sono venuti a vedere la partita di football questo weekend, sono stato contattato dal rettore dell'università per la borsa di studio, e per il contratto che avrai nella prossima stagione di quella squadra che ti piace tanto, adesso mi sfugge il nome. Perché non me ne hai parlato?»
«Per te il football è inutile, non c'era motivo di stare a raccontarti».
«Logan, è vero, ho sempre detto che l'attività di famiglia è una cosa più realizzabile. Ma tu ce l'hai fatta! Ti sei impegnato e mi hai dimostrato di poter riuscire in qualcosa che ti piace. Un anno fa pensavi solo a divertirti e fare danni per il quartiere. Sei cresciuto e maturato molto» nei suoi occhi leggo orgoglio, e mi viene voglia di abbracciarlo, cosa che faccio non appena ci alziamo da tavola.
«Ti chiedo solo una cosa» riprende a parlare «Non abbandonare il locale, è tuo. E vorrei davvero che tu un giorno prendessi le redini dell'attività. Sono certo che riuscirai a gestire entrambe le cose» stranamente non usa un tono autoritario o severo ma, anzi, sta cercando di spronarmi a fare di più, e io non posso deluderlo.
«Lo farò» gli prometto «Posso chiederti un favore?» domando, sperando che mi dica di sì.
«Dimmi, figliolo» risponde, utilizzando una parola che da anni non gli sentivo dire.
«Posso tornare al mio vecchio appartamento?»
«Certamente, sono sicuro che adesso le cose andranno molto meglio» dice felice di vedermi cambiato, e credo di sapere di chi sia una parte del merito di questa trasformazione.

Esco fuori dal locale con tanta positività e sicurezza in me stesso.
Ho come l'impressione di poter fare tutto adesso, così mi avvicino alla moto pronto per raggiungere le regionali alle quali gareggerà Liz fortunatamente sono qui a New York e non dovrò viaggiare molto per raggiungerle.
In più lei non sa che sto andando a vederla, e sarà davvero una bella sorpresa per lei, spero lo sarà abbastanza da avere l'occasione di parlarle e chiarire una volta per tutte la nostra situazione.
Sto per infilare il casco ma la suoneria del cellulare blocca il movimento.
Leggo il nome di Nick sul display e decido di rispondere dato che non mi chiama quasi mai.
«Dimmi tutto, bello» rispondo sorridente e con un linguaggio che solitamente non mi appartiene.
«Logan» dice con la voce tremante.
«Nick, che succede?» chiedo cambiando completamente tono ed espressione, la sua voce mi preoccupa.
«Potresti venire in-in ospedale? Chuck ha avuto un incidente e, insomma-»
«Non dire altro. Sto arrivando» e sfreccio più veloce che posso tra le macchine con un pensiero fisso: Liz lo sa già? Come l'ha presa?


Betty.

«Cinque minuti e tocca a vo!» dice la ragazza con la scaletta dei gruppi di canto.
«Oh Dio, sto per morire!» esclamo in preda al panico.
«Stai tranquilla, Betty. Andrai alla grande!» mi rincuora Jesse.
Ma come fa a non avere mai ansia. Ok ha una bella voce, ma per una volta non so.. non potrebbe avere ansia da prestazione o simili? È sempre sicuro di se, mentre io mi scordo anche come mi chiamo.
«Oddio!»
«Cosa?»
«Non ricordo più le parole dei testi. E i balli. Oh i balli! Qual'era il primo, e come si balla? Oddio non mi sento le gambe, credo di svenire da un momento all'altro. La voce, la senti la mia voce? È diversa! Perché il mo timbro è diverso? Stonerò, me lo sento-»
«Elizabeth!» urla Jesse scuotendomi «Basta! Sei bravissima, hai una delle più belle voci che abbia mai sentito» comincia «E hai anche un po' rotto il cazzo. Mi stai facendo impanicare tutto il coro e non mi sembra il caso di far salire sul palco delle persone in fin di vita!» mi rimprovera sorridente, e sorrido un po' anche io per il suo sarcasmo.
Faccio dei respiri profondi e mi avvicino alla scrivania dove ho poggiato le mie cose, mi osservo per un po' allo specchio poi il telefono comincia a vibrare sotto i miei occhi.
Nick. Oddio speriamo che non mi stia dando buca perché lo uccido! Ho bisogno di tutto il supporto possibile.
«Elizabeth» esordisce con un tono di voce strano.
«Ehi Nick, è tutto ok?»
«No. Sei seduta?» mi chiede ancora, senza ancora parlare.
«Nick, cosa è successo?» chiedo scandendo bene ogni parola. Mi sento già agitata.
«Chuck ha avuto un incidente».
Dice altro, ma non sento più niente.
Chuck ha avuto un incidente.
Chuck ha avuto un incidente.
CHUCK HA AVUTO UN INCIDENTE.
Sento il mondo crollarmi addosso e non faccio in tempo ad attaccare il telefono che il mio volto diventa rosso e si riempie di lacrime.
Sono riuscita solo a capire in che ospedale è stato ricoverato.
«Betty che succede?» mi domanda Jesse avvicinandosi e cingendomi le spalle con le mani.
«Chuck ha avuto un incidente» sussurro in uno stato di trans, è l'unica cosa che riesco a ripetere.
«Cazzo. Vuoi che ti accompagni?» mi domanda preoccupato. Improvvisamente mi guardo intorno e riprendo coscienza.
«N-no, faccio io, tu pensa a loro» dico raccogliendo frettolosamente le mie cose «Diamine! Non ho la macchina» esclamo ricordandomi di essere venuta con l'autobus affittato con i compagni.
«Io sono venuto con la mia, ti do le chiavi».
«Ah, s-si g-grazie» me le porge e tremante le afferro prima di farle cadere a terra, le raccolgo e mi rialzo ad occhi sbarrati.
«Sei sicura di riuscire a guidare? Sei sottochock» mi fa notare Jesse.
«S-sì, ce l-la faccio» dico interrotta dai singhiozzi «V-voi pens-sate a-a vincer-re» mi dirigo verso la porta sulla destra, mi rendo conto però che è quella dei bagni e finalmente trovo l'uscita corretta, scendo velocemente le scale e apro lo sportello della macchina di Jesse.
Sto andando in ospedale perché Chuck ha avuto un incidente.
Questo pensiero mi fa di nuovo scoppiare a piangere, le urla si propagano all'interno della vettura e mi sembra di non riuscire più a respirare. Mi tornano alla mente tanti brutti ricordi, tutto il dolore che ho passato e non posso credere che stia succedendo a Chuck.
Non posso più perdere qualcuno, non di nuovo. E soprattutto, non lui.
La guida è difficile con la vista offuscata dalle lacrime e farei bene a calmarmi se non voglio rimetterci la pelle io.
Ma non ci riesco, non posso smettere di pensare a Chuck. Quanto è grave questo incidente? Cosa gli è successo? Si riprenderà? Finchè non avrò risposta a queste domande non saprò darmi pace.

In un tempo che sembra infinito raggiungo l'ospedale ancora con il vestito delle regionali, chiedo all'infermiera della reception dove è ricoverato il mio amico e quando raggiungo il piano desiderato mi fiondo tra le braccia di Nick nella sala d'attesa.
Gli occhi di tutti sono puntati su di me, e mi rendo conto di essere l'ultima arrivata: Noah, Emma e persino Logan sono già qua, mi chiedo dove sia Claire. Mi guardano con pietà, devo proprio essere ridotta male.
Gli occhi di Nick sono scioccati, come se cercassero di cancellare un'immagine brutta e forse ho capito che lui era presente.
«Cos'è successo Nick?» domando stringendogli forte il braccio e cercando di trattenere le lacrime.
«Stavamo facendo paracadutismo – e il mio cuore si è già fermato – ma gli ultimi metri il paracadute di Chuck ha avuto un problema, ancora non si sa bene cosa, è ha fatto otto metri di volo senza. È stato trasportato con l'elicottero» ricomincio a piangere, non riesco a non farlo.
Quindi è grave.
«Ti prego dimmi che si riprenderà».
«Adesso è in sala operatoria, ma non ci diranno niente fino a che non verrà un parente».
«Scherzi? Non possono farlo! I genitori si sono trasferiti in un altro stato cazzo, ci metteranno ore ad arrivare!» esclamo in preda al panico «No, non me ne frega niente, adesso cerco un medico e lo costringo a dirci tutto, non posso stare così un attimo di più».
«Liz» le braccia di Logan mi avvolgono le spalle e sento il suo petto entrare a contatto con la mia schiena «Ci penso io» sussurra sul mio collo con fare protettivo «Tu siediti e cerca di calmarti, andrà tutto bene, te lo prometto» mi lascia un bacio tra i capelli e si dirige verso la fine del corridoio dove si trovano un medico ed un infermiere.

Dopo cinque lunghe ore finalmente un dottore si avvicina a noi.
«Siete qui per il signor Chuck Ross?» ci chiede tenendo una cartellina in mano.
«Come sta?» chiedo alzandomi in piedi e avvicinandomi al medico.
«Adesso è stabile, e ha cominciato ad aprire un po' gli occhi. Ma ha bisogno di risposo, ha diverse ossa rotte e un forte trauma cranico, ha affrontato un'operazione di diverse ore ma di questo ne parleremo con un parente» ci informa «Il signor Ross è stato molto fortunato, ma avrà bisogno di un periodo di riabilitazione per le gambe» detto questo ci sorride compassionevole e fa un cenno in direzione di Logan che si allontana dal gruppo verso una macchinetta del caffè.
«Grazie» dico avvicinandomi alle sue spalle «Oh, aspetta. Faccio io» ed inserisco le monete al posto suo per offrirgli il caffè. Mi ringrazia e prende a sorseggiare dal suo bicchierino.
«Mio padre conosce alcune persone qui dentro, non ho fatto niente di che».
«No, hai fatto molto invece» lo interrompo prima che provi a sminuire il suo gesto «Non so che avrei fatto senza il tuo intervento».
Senza pensarci due volte, non appena buttiamo i bicchieri ormai vuoti, lo abbraccio. Lo stringo forte a me e mi aggrappo alla sua maglietta prima di scoppiare a piangere. Le sue braccia mi avvolgono completamente e la sua stretta si fa ancora più possente come se volesse fondere i nostri corpi.
«L-logan, io no-n ...» non riesco a parlare, i singhiozzi mi impediscono di farlo.
«Shh, Liz» dice prendendomi il viso tra le mani e asciugandomi le lacrime con i pollici «Va tutto bene. Ci sono io qui con te, adesso».

Coinquilini - IN REVISIONE.Dove le storie prendono vita. Scoprilo ora