23. Betty. «Ti porto al pronto soccorso.»

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Non posso crederci, Logan mi sta di nuovo baciando e non perché finge o perché vuole far credere che sia la sua ragazza. E la cosa più sorprendente è che io sto ricambiando e che ero impaziente che mi baciasse di nuovo.
Il suo corpo si fa sempre più vicino al mio e porta le sue mani sulla mia vita per farmi sedere a cavalcioni su di lui. Prendo ad accarezzargli il collo per poi proseguire dritta verso i capelli. Il suo modo di baciare è diverso da quello di tutti gli altri ragazzi che ho baciato in passato, è più passionale, più impetuoso, più... intimo. Mi sento così confusa mentre assaporo le sue labbra perché sono sensazioni nuove per me. No, non nuove, ma più profonde. Il mio stomaco si sta contorcendo, e prende a salirmi la nausea dall'emozione, è questo che si prova di solito? Tanta eccitazione da avere voglia di vomitare?
Quando un conato di vomito si fa largo nella mia gola mi stacco immediatamente da Logan. Non posso crederci. Non adesso.
«Ehi, Liz..va tutto..» non riesco a sentire la fine della frase perché corro in bagno e vomito sulla tazza del water. Non è possibile, ho interrotto un bacio perché avrei rischiato di vomitargli addosso. Ci può essere qualcosa di più disgustoso e imbarazzante?
«Cavolo, non pensavo di farti così ribrezzo» Logan mi raggiunge in bagno e rimane fermo sulla porta, Chuck e Nick hanno il volume della tv altissimo altrimenti adesso sarebbero già fuori a cercare di capire cosa sta succedendo.
«Sta' zitto, Logan» un altro conato mi porta a buttar fuori tutta la cena al cinese, quanto cibo sprecato. Il moro sulla porta si piazza dietro di me e mi tira i capelli indietro tenendoli a mo' di coda di cavallo.
«Ti prego, vattene. Non è un bello spettacolo» dico prima che arrivi un altro conato, fortunatamente si tratta di un falso allarme. Ignora la mia richiesta e mi passa un po' di carta igienica per pulirmi il viso. Quando i conati sono passati mi aiuta ad alzarmi in piedi e si bagna la mano per rinfrescarmi un po' il viso, prende il mio spazzolino, ci mette sopra un po' di dentifricio e me lo porge così che possa rinfrescarmi l'alito.
«Vuoi che ti prepari un tè, una camomilla.. qualcosa che ti possa far stare meglio?» è così dolce. Si preoccupa sempre per me, anche se finge che non sia così. E io ho rovinato il momento bellissimo che si era creato. Stupido cinese.
Faccio cenno di no con la testa e gli prendo la mano per tornare a letto, spero che capisca che non è lui la causa della mia nausea, ma al momento sono ancora troppo stomacata per riuscire a parlargli e spiegare tutto.
Ci sdraiamo uno di fianco all'altro e la mattina dopo, quando mi sveglio, mi rendo conto che le nostre dita sono ancora intrecciate.

Il risveglio è atroce, ancora non mi sento bene e la nausea è stata sostituita da pallore e mal di stomaco, chissà cosa cavolo c'era nel cibo di ieri sera da ridurmi così, forse anche Nick e Chuck stanno male come me, ma a giudicare dai loro visi quando li incontro in cucina non si direbbe.
Mi osservano preoccupati e mi intimano di rimanere a casa e riposarmi, cosa che non ho intenzione di fare e li rassicuro dicendo che mi avrà fatto male qualcosa che ho mangiato. Tiro fuori da una delle credenze una bustina contro il mal di stomaco e la trangugio nella speranza che mi faccia effetto, con fatica mi piego sullo zaino poggiato a terra – azione che mi causa delle fitte pazzesche allo stomaco – e raggiungo la macchina pronta per andare in università.
Le ore di lezione procedono lentamente, i dolori non fanno che aumentare e nessuna medicina sembra fare effetto.
«Oh mamma, Beth stai bene?» sono davanti la caffetteria e Noah quasi mi corre incontro posandomi le mani sulle guance «Sei pallidissima, cos'hai? Perché non sei rimasta a casa?» comincia a tartassarmi di domande e gli spiego che deve avermi fatto male qualcosa del ristorante cinese. Sono pronta a sentire una predica perché Noah odia quel genere di cucina, dice che la qualità è scarsa e che si rischiano malattie se non si va nel posto giusto, invece mi invita ad entrare all'interno della caffetteria per offrirmi un tè al limone nella speranza che plachi un po' i dolori.
La prima cosa che noto, e che mi infastidisce, è Logan seduto ad un tavolo insieme alla sua ex. Ma non aveva detto che non voleva né vederla né sentirla? E invece se ne sta con lei. Dopo avermi baciata, poi!
Il campanello della porta che si apre fa alzare il viso ad entrambi e quando mi accorgo che ci stanno osservando mi volto verso di Noah e la barista per ordinare il mio tè.
«Chi è quella?» domanda Noah riferendosi alla bionda seduta vicino Logan.
«La sua ex, Margaret. Ieri si è presentata in casa per fargli una scenata» ometto la parte in cui Logan mi bacia e dice che sono la sua ragazza perché sono sicura che Noah partirebbe pronto a prenderlo a cazzotti e voglio evitare una situazione del genere. Anche se so che prima o poi dovrò parlargliene. Noah mi piace ancora e devo essere sincera con lui se voglio schiarirmi le idee. E poi non ho voglia di rovinare tutto quello che ho con lui per un bacio – anzi, due – con un ragazzo che per me non significa niente.
«Stanno bene, insieme» credo abbia fatto questa affermazione solo perché vuole vedere la mia reazione, ma per come sto adesso più di una smorfia di dolore non può ottenere.
«Mh, già» finisco di sorseggiare il mio tè, il dolore non si è alleggerito per niente, probabilmente ci vuole ancora un po' prima che faccia effetto.
Noah mi saluta, lasciandomi un bacio all'angolo delle labbra come sempre, e si affretta a raggiungere gli amici per le prove della band.
Mi porto una mano allo stomaco per la fitta di dolore che provo ed esco anche io dalla caffetteria.
«Liz» Logan è qualche passo dietro di me nel viale che porta ai parcheggi. Noto che dentro la caffetteria Margaret è ancora seduta al proprio tavolo.
«Non dovresti tornare dentro e farle compagnia?» chiedo indicando la vetrata da cui si intravede la testa bionda della ex.
«Ci siamo incontrati per sbaglio, non era un appuntamento» questo non significa che allora può lasciarla da sola «Dio, che brutta faccia» esclama quando mi giro verso di lui.
«Grazie, eh» ribatto seccata. Poteva essere un po' più gentile e dirmi che sono pallida come hanno fatto tutti gli altri, invece deve essere il solito cafone.
«Intendo che hai una brutta cera, non ti è passato il mal di pancia?» chiede facendosi più vicino. Mi posa una mano sulla fronte «Hai la febbre alta» sentenzia.
Proprio in quel momento un'altra fitta mi prende allo stomaco, sta volta però è più forte e mi fa quasi piegare dal dolore.
«Liz, dove ti fa male?» il tono di Logan si fa sempre più preoccupato.
«Lo sai, è lo stomaco.»
«Indicami il punto» porto la mano a destra, qualche centimetro sotto l'ombelico, e quando premo in quel punto un'altra fitta mi colpisce.
«Dove hai le chiavi della tua macchina?» prima ancora che possa rispondergli mi sfila lo zaino dalla spalla e prende a frugare all'interno fino a che non le trova.
«Scrivi ad Emma che oggi non vai a lavoro.»
«Cosa? Ma sei scemo?» lo inseguo a fatica mentre raggiunge l'auto e prende posto dal lato del conducente. Cerco di sfilargli il mio telefono – devo ricordarmi di comprarne uno nuovo – che ha trovato sempre nello zainetto e velocemente digita qualcosa.
«Come fai a sapere la password del mio cellulare?»
«Non sei molto fantasiosa, è il giorno del tuo compleanno» non so come faccia a sapere quando sono nata, potrebbe avermi spiata mentre sbloccavo il display, ma adesso mi preme di più sapere dove diavolo stiamo andando.
«Ti porto al pronto soccorso.» dice quando glielo chiedo.
«Ma non dire cazzate, andiamo a casa!»
«Liz, hai mai avuto l'appendicite?» che io mi ricordi no, ed è esattamente quello rispondo.
«Appunto.»
«Ho diciannove anni non posso avere l'appendicite» esclamo prima di piegarmi di nuovo per una fitta atroce al basso ventre.
«Può venire a qualunque età, è più raro ma può capitare. Ora zitta o ti farà ancora più male» sfreccia veloce senza fermarsi agli stop e ai semafori, a costo di farci ammazzare, e suona ad ogni macchina vada più lenta di ottanta chilometri orari.
«Così ci ucciderai» gli faccio notare, mi ignora e continua con la sua corsa.
In fretta mi aiuta a scendere dalla macchina e mi sorregge per farmi entrare dentro il pronto soccorso, anche se non ne ho bisogno.
«Credo che la mia amica abbia un attacco di appendicite» spiega a un'infermiera alla reception.
La donna chiama qualcuno tramite altoparlante e dopo un paio di minuti escono un paio di infermieri che mi fanno accomodare su una sedia a rotelle per condurmi a fare le varie analisi.
Mi prelevano il sangue, mi chiedono di fare l'analisi delle urine, un dottore fa un po' di pressione nel punto in cui ho più dolore e poi rilascia per verificare che effettivamente possa trattarsi di appendicite. Infine, per escludere ogni dubbio, effettuano una radiografia.

«Signorina, dobbiamo ricoverarla e asportarle l'appendice» un medico con una cartellina mi raggiunge mentre sono ancora seduta a letto.
«Oddio, mi farà male?» sono terrorizzata, odio gli ospedali, i medici, le punture. E adesso addirittura dovranno togliere qualcosa da dentro il mio corpo.
«No signorina, le faremo un'anestesia generale. Non si accorgerà di niente. Sentirà dolore dopo ma è normale perché avrà i punti e la ferita potrebbe darle fastidio, però stia tranquilla perché le daremo una cura da seguire e in due settimane le passerà tutto» il suo sorriso e il suo tono dolce non mi rincuorano, la paura non fa che aumentare.
«Posso aspettare che arrivi mia madre, o qualcuno prima di operarmi?» lo so, sembro infantile e stupida, ma ho davvero paura che possa esserci qualche complicazione.
«Signorina Styles – legge il cognome dalla cartellina – sarebbe meglio fare tutto il prima possibile. Più aspettiamo più la situazione potrebbe peggiorare, le prometto che faremo in modo che la sua famiglia e tutti i suoi cari vengano informati che si trova qui» mi aiuta a scendere dal lettino e con la sedia a rotelle mi portano al piano superiore, nella zona riservata alla chirurgia.
L'infermiera che spinge la sedia cerca di farmi fare conversazione, ma non riesco a risponderle. Ho solo paura che mi succeda qualcosa di brutto e l'ansia mi sta mangiando viva. Non sono nemmeno riuscita a vedere Logan. Qualcuno gli avrà fatto sapere che sto per essere ricoverata? Avrei voluto ringraziarlo prima di salire qui, se non fosse stato per lui adesso magari starei molto peggio.
Mi posizionano su un lettino, il camice che indosso è davvero fastidioso e imbarazzante. Mi fanno tendere il braccio e mi attaccano una flebo, subito dopo qualcosa mi punge sull'altro baraccio.
Ahi! Il liquido di questo anestetizzante è fastidiosissimo, sembra mi stiano conficcando dei coltelli sottopelle.
Comincio a lamentarmi di quanto sarebbe stata meglio la mascherina, almeno non mi avrebbero messo fuori gioco il braccio, ma piano piano le persone cominciano a diventare sfocate e poi.. buio.

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