Era davvero odioso come ogni volta mi promettevo che sarei stata attenta ma finiva comunque che sporcavo la cucina. La caffettiera era davvero imprevedibile. Per giunta mi brucciai anche un dito. L'universo non tardava mai a ricordarmi che la cucina non era il mio ambiente. Sistemai il caos creato dalla voglia di un caffè mattutino e mi sistemai sul balcone. Rilassata al massimo, fumai ad occhi chiusi. Sentivo le macchine schizzare sulle strade, i vicini prepare il pranzo, i bambini giù emmettere gridi di ogni genere. Stavo bene quel giorno. Quel maledetto balcone, opposto al mio, era ancora vuoto. Ma la porta era spalancata e le tende venivano sbattute dal venticello. Martina stava facendo le pulizie. Mi aveva avvisata ieri. La mia quete, e quella generale, venne spezzata da una macchina che sfrecció nel piazzale sgommando. Presa alla sprovvista da quel rumore mi affacciai e vidi un ragazzo uscire dall'auto sbattendo lo sportello violentemente. Aveva il viso di tonalità rosse e viola. Era gonfio e decisamente era stato pestato per bene di recente. Mi aggiustai gli occhiali da vista e lo riconobbi: Francesco. Si avvicinò verso il mio palazzo e mi vide. -Margot guarda cosa mi hanno fatto per colpa tua!- urló incazzato. Fui grata di essere chiusa in casa, lontana da lui. Le sue parole mi spiazzarano. La gente stava sentendo tutto e non sapevo se mi dessero fastido di più le accuse che stavo ricevendo, lui in quello stato inguardabile, o tutta la cazzo di palazzina che stava orrigliando. Non mi era mai piaciuto dare spettacolo. Specie se si trattava di un circo. -Sei una troia. Lo sgonfio tutto a quel cantante del cazzo.- continuó con quelle grida e minaccie. Io stavo valutando se entrare in casa e ignorarlo. Ma poi lo vidi avvicinarsi al palazzo opposto e chiamare Andrea a gran voce. -Shiva! Arrigoni! Scendi coglione, vediamocela faccia a faccia senza che mandi i tuoi per conto tuo.- urlò e diede pugni al portone chiuso. Mi stavo preoccupando. Andrea era ancora in tour, ma a casa stava Martina, da sola. Presi il telefono e la chiamai. -Amo non uscire, sta Francesco ed è impazzito.- dissi mentre scendevo le scale di corsa. -Margot tranquilla, lo sto sentendo, non apro. Ma che è successo?- ero arrivata giù e mi bloccai. Ora cosa dovevo fare. -Margot che cazzo ci fai lì, rientra.- si era affacciata sul balcone e quanto riportai lo sguardo su Francesco lo vidi avanzare verso di me. -Chi ti ha ridotto così?- usai un tono calmo e feci di tutto per non far trasparire l'ansia che provavo. Avevo visto un documentario o qualcosa del genere che diceva cose del tipo non far capire al nemico di star provando paura. O forse era riferito agli animali. Merda che ansia. Mi sentivo i palmi delle mani sudati. -Al tuo fidanzatino del cazzo non è piaciuta la nostra storia.- disse imitando un tono dispiaciuto. Sembrava veramente un pazzo. A vederlo da vicino notai un occhio rosso, e gonfio dall'esterno con tracce di sangue. Uno zigomo violaceo e un taglio sul labbro. -Io non ne sapevo nulla.- effettivamente non mandavo spesso gente a pestarne altra. E poi per lui non ne valeva neanche la pena. -Certo, con quella faccia da puttana come potrei crederti.- sorrise in un modo malato e inizió a fare passi verso di me e io di conseguenza idietregiai. Non ero molto lontana dal portone quindi se avessi corso abbastanza velocemente sarei riuscita ad entrarci e chiudermi dentro. Stavo preparando il corpo a fare quello sforzo e l'adrenalina mi correva nelle vene. Ma da dietro a Francesco un ragazzo alto e tatuato si avvicinó e lo prese dal collo. Rimasi con gli occhi spalancati e il fiatone. Martina spuntò dalle spalle di quel ragazzo e mi allontanó stringendomi a lei. -Dimmi che stai bene.- la abbracciavo mentre guardavo come quel ragazzo fosse sopra Francesco e come gli bastarono due pugni in pieno viso per immobilizzarlo. Pensai fosse morto. -Lui è Simone. Uno dei migliori amici di Andrea. Abita nella nostra palazzina.- mi informò mentre io ancora non spicciai parola.
Eravamo sedute al tavolo della mia cucina perché Martina non voleva lasciarmi sola. -Marti sto bene, non mi ha nemmeno sfiorata.- le ripetei per l'ennesima volta. -Io mi preoccupo dei danni psicologici. Forse avrò bisogno della terapia per superare questo schifo. Era il mio amico e mai mi sarei aspettata che minacciasse te e mio fratello. Che cazzo gli è successo.- si passò le mani tra i capelli. Era sconvolta. Allora decisi di informarla della conversazione che avevo avuto il giorno precedente con il fratello: -Andrea si è arrabbiato per la storia che mi ha fatto Francesco. E abbiamo litigato. E io gli ho spiegato che se non me l'avesse inviata lui la storia io non l'avrei mai vista. E poi non mi ha più risposto. Nuovamente.- e finì facendo una risata amara. Lei mi ascoltava concentrata. -Francesco ha detto che per colpa mia lo hanno picchiato.- e guardai il microonde per distrarmi ed evitare il suo sguardo. -Margot certo che no. Tu non hai fatto nulla in tutto questo. Andrea avrà mandato sicuramente i suoi da Francesco. Ma non capisco bene il perché.- Strinse le mie mani nelle sue. - Neanche io, credimi. Non lo capisco proprio.- E a quel punto delle lacrime solitarie lasciarono i miei occhi lucidi.
Mi lavai nuovamente il viso e respirai profondamente. Non era il momento di sfogarmi. Non avevo il tempo. Stava per arrivare l'estetista e finalmente mi sarei sentita nuovamente una donna. Più o meno. Solo che le lacrime non finivano di scendere. Trattenevo i singhiozzi e mi nascondevo il viso roseo nelle mani. Avevo accumulato troppa merda. Andrea che se ne era andato, Andrea e quella ragazza, Andrea arrabbiato, e Francesco malmenato e impazzito. Poi è normale in questi momenti pensare, oltre che ai problemi attuali, anche a quegli vecchi. Stringevo forte gli occhi e mi domandavo perché mi fosse capitata una vita così piena di imprevisti e situazioni per cui non mi sentivo all'altezza. Senza volerlo arrivai a pensare a mio padre e aprì gli occhi di scatto e tutta quella rabbia la rivolsi a me stessa. Non dovevo rivolgere neanche un mezzo pensiero a quell' uomo. Non se lo meritava. Poi pensai alla mia vecchia vita. La nostra piccola casa, i miei amici senza i quali pensavo di non riuscire a stare, la mia città cosparsa di ricordi. E quella nostalgia si trasformò nuovamente in rabbia quando pensai al motivo per il quale eravamo qui. Sempre lui, mio padre. E poi strinsi forte i denti, incurante del dolore, quando mi ricordai che anche lui si trovava qui. Ma per fortuna non in una periferia, come me e la mamma. Sicuramente nel grattacielo più costoso del centro di Milano, o nella villa più sfarzosa che si possa avere. Quel bastardo. Mi lavai nuovamente il viso e mi promissi che mai avrei lasciato che un uomo mi tratasse come aveva fatto mio padre con mia madre.
L'estetista, Valentina, una ragazza appena sposata, era davvero molto chiaccherona. Parlava senza neanche prendere fiato e non era mai a corto di argomenti. Iniziò con il complimentarsi delle mie soppraciglia e continuó con il perché avesse scelto il lilla come colore dei vestiti delle sue damigelle. Mi spiegó il perché non avesse invitato la cugina Silvia e argomentó i gossip con foto del suo profilo Facebook. Mi rendevo conto di essere una cliente noiosa in quel momento. Mi sforzavo di sembrare il più coinvolta possibile ma davvero non me ne sbatteva un cazzo del fatto che Silvia fosse la ex di suo marito. Arrivò a parlare anche di Andrea. -È proprio un bel ragazzo e sta anche pieno di soldi. Alla radio non si sente altro che lui.- evidentemente era ignara del fatto che fosse un mio amico. Almeno era un mio amico. Ora non sapevo che dire. Forse vicini di casa era il termine più adatto. Quando terminó il suo lavoro non accennava ad andarsene ancora. Quindi dovetti stare a sentirla e giurai che mi sarebbe venuto il mal di testa.
Ero in bagno e stavo stendendo sul viso una maschera idratante quando sentì il mio telefono squillare. Andai in salotto e lo presi in mano. Ero indecisa se rispondere o meno, ma vedendo la lunghezza degli squilli risposi. -Pronto?- voce incerta e timida. Se volevo affrontare una chiamata del genere dovevo uscire le unghie. -Margot stai bene?- sembrava veramente preoccupato e al sentire il mio nome detto dalla sua voce persi un battito. -Sì Andrea.- non riuscivo proprio ad essere arrabbiata in quel momento. Il semplice fatto che mi aveva chiamata e si stava preoccupando, mi faceva addolcire. -Mi dispiace.- e per quanto mi sforzai, ci credetti. -Per cosa precisamente.- dal modo in cui parlavo sembrava che stessi per scoppiare a piangere a momenti. E forse era vero. -Per tutto. Sono stato uno scemo. E che io non ti merito e non volevo farti star male.- parola dopo parola mi stava facendo girare la testa. -Sto male lo stesso.- fui sincera. Ci fu silenzio dall'altra parte del telefono e poi seguirono delle parole rivestite di miele: -Mi manchi.- un tono rauco che colpì il cuore e il ventre. -Anche tu, tanto.- e scoppiai.
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Mi rende fiera che pian piano questa mia piccola storia viene apprezzata.
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