Appena compiuti i diciotto anni mi ci buttai completamente nell'obbiettivo di prendere la patente. Veramente. Quindi non so come sia potuto succedere che avessi fallito. Piansi a dirotto e mi diedi della cretina, tutti intorno a me ci riuscivano al primo colpo, anche persone dal intelletto dubitabile. Mia madre mi rassicuró dicendo che può capitare, non aveva mai conosciuto qualcuno oltre me a cui sia capitato, ma tranquilla può capitare. Quindi dovetti farmi veramente forza per provarci nuovamente, con l'umiliazione da perdenti addosso riprovai e per un pelo ce la feci. Che poi poco dopo me la feci togliere era un'altra storia. Fatto sta che ero nella macchina di mia madre, la sua Lancia grigia, e dovetti andare a spolverare le mie capacità da patentata perché non guidavo da proprio tanto. Ma quella era un'emergenza, non mi sarei fatta fermare dal mio istinto che mi diceva di starmi ferma e buona. Davo la precedenza praticamente a tutti perché non capivo se mi stessero lasciando passare o meno. Mi suonarono numerose volte da dietro e mi impanicai. Chi me lo aveva fatto fare. Non volevo chiamare Robert per farmi portare a destinazione giusto per non perdere tempo, ero di fretta e il cuore stava per esplodere come un palloncino stuzzicato. Ma forse sarebbe stato meglio perché ci stavo impiegando comunque troppo. Ero arrivata ad un semaforo e solo allora tornai per un attimo in me e mi dissi che non sapevo nemmeno dove dovessi andare. Genia del cazzo. Presi il cellulare e chiamai un vecchio numero. Intanto il parabrezza venne cosparso d'acqua. La pioggia era accompagnata da pesanti nuvoloni e tuoni. Era bello vederli ma incutevano timore. -Pronto?- speravo fosse lui, mi serviva soltanto che avessi chiamato qulcun altro. -Margot?- voce maschile, forte. -Sì, Zack sai dove è Andrea?- loro erano praticamente ovunque insieme o almeno sapevano i loro spostamenti. -No, hai provato a chiamarlo?- magari avessi avuto la possibilità di farlo, o forse no. No. Meglio di no, non sarei mai riuscita a resistere al impulso di chiamarlo anche solo per sentire la sua voce. -Non ho il nuovo numero e non credo voglia parlarmi.- in effetti ero poco desiderata in quel momento. Ma non dovevo farmi abbattere dalle sue parole spinte dal dolore. Io non avevo nessun altro, si riferiva sicuramente a Christian con quella frase di prima ma gli avrei spiegato come realmente stavano le cose. Le parole di sua nonna mi risuonavano di continuo nelle orecchie, come una dolce melodia, e sorrisi. Ci teneva a me. Aveva pianto per me e stava male per me. Avrei combattuto contro la sua armatura e avrei tirato fuori il vero Andrea. E lo avrei ricucito, ci cuciremo a vicenda. Sì. Dovevo solo trovarlo. -Lo chiamo io e ti dico.- la pioggia stava facendo un rumore fastidioso e in più il vento muoveva i pali e li alberi. Ormai si percepiva come l'inverno fosse vicino. Infatti avevo una giacca pesante indosso perché io non fui mai amica del freddo. Mi feci forza pensando che sarei riuscita sicuramente nel mio intento. Dovevo, a tutti i costi. Non me ne sarei andata senza aver chiarito. E magari dopo sarei riuscita a fare lo stesso anche con Martina. E sarebbe tornato tutto come una volta. Noi tre. Felici. Anzi che dico, sarebbe stato un nuovo inizio, che era ancora meglio. Mentre quella notte il cielo piangeva, io sorridevo pensando ad Andrea. Mancava poco, sì. Continuai a percorrere quelle strade tra grattacieli immensi e attesi di scoprire dove si fosse rifuggiato. Camminavo piano stando attenta ai pedoni e ai cartelli, solo che evidentemente li altri non fecero lo stesso perché quando allungai il braccio per prendere il cellulare e rispondere a Zack, dei fari mi accecarono e ricordo soltanto di aver spalancato la bocca senza lasciar fuori alcun suono.
I miei nonni morirono in un incidente stradale. Io ero piccolina e non mi rendevo conto del perché mamma piangesse e del perché la domenica non andassimo più a pranzare e giocare con nonna Caterina e nonno Giacomo. Poi però me ne resi conto, capì pian piano cosa volesse dire che fossero nel cielo. Non piansi per niente. Come potevo, non avevo neanche avuto il tempo di affezionarmi, quasi. Ma so per certo che loro mi adorassero. Mi viziavano in un modo poco consono, specie dopo l'abbandono di mio padre. Per mia madre era ancora un argomento delicato, ma la capivo. Chissà cosa avrei fatto io senza la mia mamma. Niente, ecco. Non sarei riuscita a vivere. Che senso avrebbe avuto svegliarmi senza lei che fosse lì pronta a vivere con me. So che quel periodo in cui le fui lontana le causò dolore, ma me ne pentì. Almeno il dolore fu equo per entrambe e quindi semplicemente si annulò. Non potevo girare le spalle alla donna che non aveva altro che me, e io che avevo perso tutto tranne lei. Aveva sbagliato, ma spesso i figli hanno quest'assurda idea che i genitori non possona sbagliare perché sono degli esseri perfetti. Non è cosi. Ma avevo sbagliato certamente anche io e avrei continuato a farlo, così come anche lei. Ma che importanza aveva. Quella sera mia madre aveva il turno di notte, aveva fatto a cambio con una collega, per poter esserci ai festeggiamenti della sua cara amica. Mia madre amava quel lavoro, ci metteva tutta sé stessa ed era dannatamente brava. Solo che sono sicura che quando venne trasportata in ospedale sua figlia incosciente, reduce da un incidente d'auto, odiò il suo lavoro, la sua macchina ormai distrutta, Milano, sé stessa, cazzo sicuramente persino mio padre e Andrea. Non era una che si faceva intimorire da un po'di sangue ma quella visione avrebbe fatto paura a tutti, specie se si trattava di qualcuno che amavi più di te stessa.