16

6K 144 4
                                    

Mentre vagavo per il centro di Milano mi ricordai che avrei visto Andrea quella sera. Il pensiero mi alleviava il cuore, che da ore produceva lacrime più che sangue. Il mio Andrea mi avrebbe cinta fra le sue braccia e mi avrebbe protetta da tutto. Mi avrebbe calmata e sarebbe addirittura riuscito a consigliarmi una soluzione. Era l'unico con cui volevo parlare.
Intorno a me le persone andavano e venivano, ognuno con i propri pensieri e problemi per la testa. Ognuno nel proprio mondo. Avevo preso il numero di mio padre dal telefono di mamma. Ed erano ore che valutavo se scrivergli o no. Nonostante avessi scoperto che non mi avesse lasciata per suo volere, restava il fatto che fosse passato tanto tempo e non sapevo cosa aspettarmi.

"Sono Margot." Scrissi in un atto di coraggio. Mi tremavano le mani e le gambe. Avrebbe risposto? Come avrebbe reagito? Forse stavo agendo senza pensare, d'impulso. Iniziai a mordicchiarmi le unghie mentre il mio caffè si raffreddava. Quando vidi lo schermo del mio telefono illuminarsi per via di una chiamata, mi bloccai. Il mio cervello si spense, le braccia mi caddero e il battito acceleró. Era mio padre. Non mi sentivo pronta. Non sapevo che fare, ero impanicata. -Pronto...- dissi con voce ancora spezzata dal pianto di quella giornata che ancora non era giunta al termine. -Margot, tesoro, sono felice che ti sei messa in contatto con me. Vorrei vederti e parlarti.- la sua voce era forte, e mi colpì il cuore. Era la sua voce. Come la ricordavo. Parló in modo commosso ma mantenendo il suo contegno rigido. -Me ne sono andata da mamma.- non sapevo da dove iniziare a raccontare. Balbetta leggermente. -Vengo a prenderti, dove sei?-

Avevo capito che lui sapesse molto su me e mia madre. Sicuramente raccoglieva informazioni. Io invece ero molto indietro. Non sapevo nulla. Anzi, anche quello che credevo di conoscere, era una bugia.
Una Bentley lucida e nuova di zecca si fermò di fronte al bar nel quale mi rifuggiai. Iniziai a diventare di pietra quando si aprì e la sua figura robusta uscì. Indossava abiti formali perfettamente stirati. I suoi capelli ordinati erano sale e pepe e il suo viso contava più rughe di quante ricordassi. Ma i suoi occhi nocciola erano gli stessi. In quel momento mi guardavano spalancati. Si avvicinò con cautela e mi sorrise. -Ciao Margot.- mi salutò con voce dolce. Esitante alzò una mano e mi accarezzò il viso bagnato da lacrime. Senza volerlo diventai un disastro singhiozzante e lui mi strinse tra le sue braccia. I ricordi iniziarono a bombardarmi e la discussione avuta con mamma a ripetersi nella mia testa. Mi meritavo che queste braccia stringesserò il mio corpo, che mi consolassero, ma lei me ne aveva privata. -Sono qui adesso. Va tutto bene.- mi diceva rassicurante mentre mi accarezzava la schiena. Toccò anche la ferita che ancora non accennava ad andarsene ma il fastidio che provai non era nulla in confronto a ciò che sentivo dentro.

Non ero mai stata in una macchina così lussuosa. Era tutto immacolato e mi sentivo decisamente fuori posto. -Quindi hai saputo perché non ci sono stato?- disse dopo che gli raccontai del litigio avuto con mia madre. -Sì. Ma perché l'hai lasciata vincere così facilmente.- chiesi timida. Lo percepivo come un estraneo ancora. -Oh piccolina, io ci ho provato, ma lei mi cacciava sempre e non ti faceva mai trovare a casa. Ha rifiutato anche i soldi e gli aiuti. L'unico modo era per via legale ma lei mi ha pregato di non farlo. Nonostante tutto la amavo ancora. E mi sono accontentato di vederti crescere da lontano.- mi raccontó e le mie incertezze sul suo conto poco a poco si colmarono. -Ma sono contento che finalmente riesco ad averti così vicina. Sei cresciuta tanto ma resti ancora la mia piccola Margot.- disse mentre mi strinse la mano. Io mi commossi.
Stavamo prendendo delle strade affollatissime e il quartiere sembrava molto esclusivo. -Vorrei poter recuperare il tempo perduto. Se hai detto di non voler tornare da Elena puoi rimanere da me.- eravamo in un parcheggio sotteranero. Intorno solo macchine di un certo calibro. -Se non è un problema.- la timidezza mi stava lasciando. Persino l'ascensore era lussuoso. Spazioso con dettagli curati. Dove ero finita. -Assolutamente. Mi renderesti il più felice. Ma avvisa tua madre, di sicuro è preoccupata.- mi sorrideva di continuo e non distoglieva mai gli occhi da me. Mi stava studiando. Chissà cosa pensava. L'ascensore ci portò direttamente nel suo attico. Era anche meglio di quanto avessi potuto immaginare. Era esattamente ciò che ci si aspettava da uno degli uomini più ricchi a livello internazionale. Mi sentivo come una macchia su un vestito bianco. -Accomodati. Questa è anche casa tua. Ti faccio preparare una stanza.- detto ciò sparí in una delle innumerevoli porte del primo piano. Era tutto così eccessivo. Mi avvicinai alle finestre che facevano da muro e credetti di trovarmi in cima al mondo. Tutta Milano era sotto i miei occhi. -Angela questa è mia figlia Margot. Da ora in poi starà con noi. Preparale la stanza migliore.- mio padre si avvicinó a me presentandomi ad una signora che presuposi fosse la domestica, vista la divisa. Era una donna sulla cinquantina e sembrava molto accogliente. Mi sorrise come se già mi conoscesse e venne ad abbracciarmi. Rimasi spaesata ma ricambiai. -Finalmente ti conosco. Il signor Edoardo non fa altro che  parlare di voi.- disse contenta. Mio padre aveva gli occhi che brillavano.

La mia camera era la seconda sulla sinistra, al secondo piano. Aprendo la porta in legno, vidi un letto enorme con una testiera morbida. Aveva la vista della città, guadri moderni e un beauty con tanto di luci. C'erano due porte. Una portava ad un bagno spazioso con uno specchio che occupava tutta la parete, un lavandino in marmo e una grande vasca. L'altra conduceva ad una cabina armadio. Era vuota ma provai ad immaginarla piena e quasi mi innamorai. Era tutto un sogno. Non sapevo se stavo facendo la cosa giusta, ma avrei dato a mio padre una chance.

-Spero sia tutto di tuo gradimento. Domani posso accompagnarti a fare shopping.- sembrava come se provasse con tutte le sue forze a soddisfare ciò che lui credeva fossero i miei desideri. Per quanto fosse allettante tutto ciò io volevo conoscerlo. -È tutto anche troppo.- lo rassicurai. Eravamo a tavola e Angela ci servì portate di pesce e frutti di mare. -Stasera vorrei farti conoscere qualcuno se per te va bene.- mi disse mentre beveva del vino. -Stasera avrei un impegno.- risposi e vidi la sua espressione sorpresa. -Oh, vabene allora, sarà per la prossima volta. Potrei sapere con chi hai questo impegno, se non è un problema?- parlò velocemente. Il modo in cui si assicurava sempre di mettermi a mio agio era tenero. -Un amico.- dopo qualche minuto di riflessione su chi fosse Andrea per me risposi. Mi stava stancando il doverlo definire amico quando chiaramente eravamo molto di più. -Vabene.- disse annuendo.

Quando terminammo di cenare ci sedemmo sul confortevole divano del salotto di mio padre. -Sai mi ricordo di come giocavi con il telefono fisso. Facevi finta di chiamarmi e sapevi a memoria il mio numero.- disse nostalgico con un sorriso sul viso. Mi ricordavo anche io quei momenti. -Sì, il tuo era l'unico numero che sapevo.- dissi sorridente. -Da bambina ballavi sempre, stavi sempre a saltellare e correre. Le tue ginocchia erano sempre piene di lividi.- continuó. Io sorridevo. Stavo parlando con il mio papà. Il papà che mi voleva bene e si ricordava ogni dettaglio di me. -Io mi ricordo che mi vestivi sempre da maschio.- e lui scoppió a ridere. -Volevo che fossimo uguali. Ho ancora qualche fotografia di noi con le tutte dell'Adidas rosse.- disse e si alzò e prese una foto incorniciata da vicino un tavolino adornato di fiori. Era la foto di cui parlava. Eravamo sorridenti. Mi teneva in braccio e le nostre tutte erano identiche. -Io non mi perdoneró mai per non esserci stato ma spero che tu possa farlo.- disse tristemente. Quelle parole colpirono qualcosa dentro di me. Lo guardai con occhi diversi e lo abbracciai. Lui ricambio immediatamente e notai gli occhi lucidi.

Oltre a sembrare comodo, il mio nuovo letto, lo era anche. Mi sembrava di essere stesa su una nuvola. Ma dentro avevo una tempesta. Troppe cose erano accadute nell'arco di una giornata. Non riuscivo a credere di averle affrontate tutte. Erano le undici di sera e mi dissi che era tempo di chiedere ad Andrea dove fosse. Non mi aveva contatta da troppo. "Andrea chiamami." Gli scrissi. Era strano che non lo avesse già fatto. Dovevamo vederci. Lo aveva detto lui. Il tempo scorreva ma non ricevevo risposta. Sbuffai e andai sui social. Misi like alle foto di celebrità e persi tempo su qualche video scemo. Mi apparirono anche delle foto di Andrea a cui misi like. Notai le numerose notifiche che contenevano tutte le corna e la parola "cornuta". Non capivo proprio. Era un nuovo modo di attaccarmi? Irritata cercai di informarmi. Finì su youtube su un canale di gossip che diceva che Shiva ci era trovato in studio con una rapper e che ancora non accenavano a terminare l'incontro che andava avanti da ore. Chiusi gli occhi. Ero prosciugata. Non avevo neanche le forze per piangere. Mi stava facendo nuovamente la stessa cosa. Solo che ora era diverso. Avevamo un rapporto che andava oltre. Era come se una mano mi stesse tringendo forte il cuore, schiacciandolo. Per questo non mi rispondeva? Mi aveva promesso che ci saremmo visti. E in quel momento avevo bisogno di lui più che mai. Mi strinsi su me stessa. Non mi andava bene una. Mi alzai e mi avvicinai alla finestra. Poggiai la testa sul vetro e guardai Milano illuminata. Non mi sarei fatta prendere in giro due volte allo stesso modo. Questa volta ci sarebbero state delle conseguenze.

-----
Volevo dirvi che anche se non rispondo, vedo tutti i vostri commenti💗

Che ne pensate di questa situazione?
Si accettano scommesse.

Cuci i miei tagli -ShivaDove le storie prendono vita. Scoprilo ora