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Mi ritrovai ad accettare la proposta di mio padre riguardo lo shopping. Quel giorno ero silenziosa e persino lui se ne accorse, ma non insistette dopo che gli dissi che non era niente. Guardavo Milano soffermandomi sulle piccolezze, cosa è stato ingrado di costruire l'uomo. Andrea non si fece vivo e io continuavo ad accumulare la rabbia. Ovviamente iniziai a mettere in dubbio i nostri momenti e le sue parole. Forse ero veramente solo un gioco. Strinsi la mano con forza. Se due giorni fa mi avessero detto che mia madre e Andrea mi avrebbero traditi e l'uomo che credevo di disprezzare mi avrebbe tirata su, non ci avrei creduto. Avrei riso. E poi mi sarei lasciata trasportare dalla furia e sarei passata alle mani. Desideravo avere una persona di fronte e poterla colpire fino a non sentirmi più la mano, fino a spaccarmi le dita e slogarmi il polso. E invece no. Ero in giro a fare compere. Dire che ero a disagio era un eufemismo. Non mi andava giù il modo in cui passasse la sua carta senza pensarci due volte. Cercavo di non esagerare ma lui insisteva, mi mostrava capi d'abbigliamento che riteneva mi sarebbero piaciuti e che dovevo assolutamente prendere. Ovviamente mi piacevano ma fui cresciuta nella modestia e riuscivo a capire quando troppo era troppo.
Fatto sta che mi ritirai con tante buste. Ci fu bisogno dell'intervento del bodyguard per salirle. -Margot sta per arrivare la persona che volevo farti conoscere.- mi disse mentre salivo le buste in camera. Mi insospettiva il suo insistere su questo argomento, ma annui. Non avevo idea di chi potessi aspettarmi. Lasciando perdere i sensi di colpa, ero felice del mio nuovo guardaroba. Controllati nuovamente il telefono ma da parte di Andrea ancora nulla. Mamma mi tartassava di messaggi e chiamate. In un attimo di debolezza le mandai un messaggio dicendole soltanto che stavo bene. Conoscendola non avrà dormito tutta la notte. E diciamo che io feci la stessa cosa. Stetti sveglia, incredula, di tutto ciò che fosse successo in un batter d'occhi. Dovevo trovare un modo per vendicarmi con Andrea e dovevo capire se volessi perdonare mia madre. Anche Martina mi aveva scritto. Chiedeva se stessi bene e se avessi bisogno di qualcosa. Poi  un altro messaggio ancora in cui diceva che le dispiaceva per il comportamento di suo fratello e che lei per me c'era sempre. "Tranquilla sto bene. Ora non sono pronta per parlarne ma ci vediamo presto." Le scrissi, non potevo trattare male l'unica persona vera che avevo.
Mi cambiai e mi legai i capelli in una coda alta. Misi le ciabatte e scesi.

Mentre una ad una scendevo le scale facendo rumore con le mie scarpe rosa, vidi nel salotto una donna di spalle. Capelli biondi con boccoli, un vestito di raso corto e dei tacchi alti. Agrattai la fronte. Chi era? Parlava con mio padre e sembrava quasi che stessero litigando. Quando si accorsero di me, si votarono a guardarmi e rimasi ancora più sorpresa nel vedere che era una ragazzina. Mi riservó uno sguardo gelido e l'espressione che fece era di disgusto. Mio padre alternava gli occhi da me a lei. Perché avrei dovuto conoscere una persona che mi guardava in quel modo. -Margot, vieni, lei è Valentina, tua sorella.- la voce di mio padre era attenta e cauta, sembrava quasi che stesse pesando le parole, ma lo fece decisamente nel modo sbagliato perché a momenti svenivo. Lei sbuffó e incrociò le braccia sotto al seno in vista. Reggeva saldamente una Chanel bianca. Io volevo solo sparire, anzi, avere due sberle così magari mi svegliavo. A vedere quel silenzio mio padre inizió a parlare: -So che magari non te lo aspettavi, ma dopo essermi lasciato con tua madre ho avuto Valentina. È la tua sorellastra. Mi sembrava corretto farvi conoscere. Lei sapeva già di te.- sarebbe stato meglio se si fosse stato zitto. Per carità, capivo che bisognava andare avanti ma semplicemente era una cosa spuntata dal nulla. E poi lei non sembrava proprio desiderosa di conoscermi. Sicuramente era stata obbligata. Forse mi odiava addirittura perché quello sguardo aspro non accennava ad andarsene. Papà la guardó e lei resse il suo sguardo. -Valentina.- la amonì severo. Lei sbuffò e mi allungó la mano, coperta di gioielli. -Piacere.- disse ma io capì che moriva dalla voglia di dirmi altro. Le restituí lo sguardo e con lo stesso tono ripeteì le sue parole e le strinsi la mano. In due potevamo giocare a quel gioco. Era anche mio padre quello e avrebbe dovuto iniziare ad imparare a condividerlo perché io non avrei rinunciato facilmente, giocavo per vincere. Ormai non avevo nulla da perdere. -Ora se abbiamo finito questo circo, avrei di meglio da fare.- disse altezzosa e si incaminó verso l'ascensore. -Valentina ti avverto, o ti dai una calmata o dovrò prendere provvedimenti.- il tono era severo ma lei non ci diede peso. Lo guardò con disprezzo e ci diede la spalle andandosene, lasciandosi dietro il rimbombo dei suoi tacchi e una pessima prima impressione. -Scusala ma deve abituarsi.- cercò di rimediare ai danni fatti dalla figlia, l'altra, ma inutilmente. Sapevo che non era questione di abituarsi o no e dentro di me quasi ero contenta. Avevo trovato su chi sfogarmi.

Cuci i miei tagli -ShivaDove le storie prendono vita. Scoprilo ora