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Non mi spaventava più  nulla. A volte mi preoccupava il modo in cui fossi impassibile e apatica riguardo situazioni che ad altri non avrebbero fatto prendere sonno. Anzi, ero arrivata ad un punto dove tutto quel caos mi divertiva. Forse la mia vita era diventata così monotona e priva di scariche di eccitazione che il minimo variamento di programma mi causava adrenalina. Non mi lamentavo, attenzione, solo che a stare ore di fila a cucire, disegnare e preparare un vestito, dopo un po' faceva arrivare il mal di testa. Specie se non avevo amici o svaghi. Ma amavo ciò che facevo. Nella mia vecchia cameretta erano sparsi matteriali per il nuovo vestito. Mi ero fatta arrivare tutto il necessario e stavo sistemando il delicato abito sul manichino per controllare la larghezza dei fianchi. Era per Zendaya quel vestito, era una ragazza a dir poco stupenda e di un talento senza pari. Quando ci capitava di incontrarci a qualche cerimonia o altri eventi di Hollywood, ci divertivamo insieme ridendo e mangiando troppo. Le mie amicizie erano occasionali ma non potevo farci niente. Non avrei forzato i miei bisogni su nessuno. Mia madre era a lavoro e l'avrei rivista in serata. La casa era silenziosa e da fuori si sentivano voci portate a spasso da un venticello. I vicini non avevano tardato a spettegolare sul mio ritorno e non osai immaginare le loro teorie e così via dicendo.

Presi una pausa dal lavoro e preparai un caffè. Passai la pezza sul tavolo, per togliere le briciole della mia colazione a base di biscotti integrali, inzuppatti in uno yogurt alle ciliege. Sbirciavo dalla finestra ma non c'era nulla di interesante: bambini, signore con buste della spesa e gruppi di ragazzi.
Lavai per terra e mi buttai sul divano mentre si asciugava il pavimento. Decisi di muovere i primi passi del mio piano e vagai tra le mie e-mail. La sera precedente mi ero fatta arrivare delle informazioni e per volere divino coincideva tutto con le mie carte. Trovai la richiesta della Nike di entrare a far parte del loro team e la inviai ad Hannah. Era vecchia di un mesetto ed era stata nascosta nelle mail archiviate: non mi convinceva come proposta ma ora le cose erano cambiate.

Morivo dalla voglia di mangiare qualcosa di dolce e buono, solo che tutto il dolce che avevo in casa non raggiungeva il buono che tanto bramavo. Quindi mi vidi costretta ad uscire di casa e fare una sosta d'emergenza al supermercato. Misi una tuta nera, provvista di cappuccio e uscì a testa bassa. Non mi stavo nascondendo, solo che preferivo mantenere un profilo basso. Era bello sentire quel venticello in faccia, forse dovevo uscire di più, ero pallida e le occhiaie troppo scure. Mia madre me lo diceva spesso che mi sarei ammalata nel continuare quella routine tossica, ma che senso aveva uscire quando non c'era nessuno ad aspettarmi.

Quelle strade ormai le conoscevo, mi sorpresi quando riconobbi anche qualche volto. Era una bella sensazione tornare tra la propria gente, con le mie stesse tradizioni e conoscenze. Le porte del supermercato si aprirono automaticamente, rivelando scaffali imbottiti di ogni tipo di alimento. Mi recai tra le merendine e presi dei Kinder bueno bianchi e delle caramelle gommose alla mela verde. Mi misi in fila, lunga e lenta, e mi guardai intorno: carelli pieni di frutta e verdura, buste con cibo per cani, prodotti igienici e box d' acqua. Chissà che pensavano gli altri nel vedere cosa avevo in mano: forse sarei passata per una ragazzina incinta con voglie, o una depressa in cerca di sfogo, o una suicida con desiderio di diabete. Girando la testa vidi un paio di occhi che mi guardavano: Zack. Non sapevo se salutarlo, forse mi odiava e mi vedeva come una poco di buono. Gli rivolsi un piccolo sorriso timido e lui mi fece un gesto con la testa che stava a dire di incontrarci fuori. La sua fila scorreva più velocemente mentre io sentivo di star mettendo radici in quel negozio. Ero curiosa di sapere cosa volesse dirmi. Non eravamo mai stati grandi amici, le nostre conversazioni non erano mai andate oltre il saluto e la chiacchera buttata lì. Anzi non so neanche se lui mi avesse mai considerata un'amica, molto probabilmente per lui ero solo la ragazza di Andrea, ora ancor peggio, l'ex.

Era appoggiato al muretto adiacente. Il cappuccio alzato e una sigaretta tra le dita. Incuteva timore ma io sapevo di dover stare tranquilla. Mi avvicinai con la busta di plastica in mano e incrociai le braccia sotto il seno. -Ciao Margot.- mi salutò senza veramente guardarmi. -Ciao, cosa succede?- non ero in grado neanche di formulare un'ipotesi. -Come te la passi?- quella domanda mi fece quasi commuovere. Come me la passavo? Non credevo di star male, ma di certo neanche bene. Ero in un limbo, mi mancava qualcosa. Alzai le spalle come risposta e lui annuì. -E Andrea come sta?- gli chiesi timida mentre guardavo per terra. Sapevo di star sbagliando nel interessarmi a lui, ma volevo togliermi il peso che quel dubbio mi forniva. -La musica va alla grande.- questo lo sapevo anche io e chiunque avesse le orecchie. -Non ti ho chiesto questo.- lui sospiró. -Insomma, sembra perso e spento. Non ne parla con noi, sono preoccupato.- le mie osservazioni erano quindi giuste. Il mio povero Andrea. La mia espressione rifletteva il mio stato d'animo preoccupato. -Mi dispiace veramente.- avevo la mano sul cuore. -Dovresti parlargli.- mi suggerì e io mi pietrificai. Come se io fossi capace di consolarlo quando lui non mi desiderava e quando aveva già una donna che "amava da morire". Zack spinto sicuramente dalla mia incertezza evidente mi accarezzó la spalla, trasmettendomi forza. Gli sorrisi e lui ricambiò prima di allontanarsi. -Zack!- lo richiamai e iniziai a corrergli dietro. Lui si girò chiaramente confuso. -Avresti una busta?-

Cuci i miei tagli -ShivaDove le storie prendono vita. Scoprilo ora