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Mi faceva male tutto, anche parti del corpo che credevo insensibili. E io che mi lamentavo del mal di testa post sbornia o dei crampi del ciclo. Quello era peggio anche di quando mi ruppero il naso con una tuzzata. Quella stronza di mia cugina. Ero in un ospedale quindi non stava a significare niente di buono. Ricordavo di quella maledetta auto che mi venne addosso ma il resto era decisamente confuso. Cercai di non guardare li aghi che mi bucavano la pelle o i lividi enormi e neri che avevo sul corpo. La parte peggiore era il collare cervicale che mi impediva i spostamenti. Non volevo immaginare le condizioni del mio viso ma mi sentivo gonfia, e non era un buon segno. Dalla finestra si intravedeva il sole debole, quasi quanto me, e mi resi conto di come il destino avesse deciso al posto mio. Ero in un fottutto ospedale. Non ci voleva proprio. Dovevo avvisare Hannah di rimandare li impegni e avvisare che sarei mancata ad altri. E poi dovevo chiamare mamma. Non volevo farla preoccupare ma essere lì da sola in quello stato non mi piaceva affatto. Il problema sarebbe stato capire dove si trovava il mio cellulare. Chi aveva dato la patente a quel impedito. Ormai era sicuramente troppo tardi, Andrea era sicuramente tornato da lei e io avevo perso ogni possibilità di parlargli. Ma in fondo forse era così che doveva andare. Forse ero segnata ad avere un vuoto appresso per sempre. La porta si aprì e mi sentì sollevata ed improvisamete meglio nel vedere entrare mia madre, in divisa. -Amore, come ti senti?- si avvicinò cauta a me e accarezzó piano il mio braccio. Era decisamente sollevata nel vedere che mi fossi svegliata. Nonostante facciano alquanto schifo li ospedali, i letti erano comodi. -Mi sento tutta indolenzita.- mi sentivo arrugginita e non riuscivo a fare movimenti sciolti. -Mi sono spaventata tantissimo.- era in procinto di piangere. -Sto bene.- le strinsi la mano. -Vado ad avvisare il dottore che sei sveglia. Fai la brava.- come se potessi fare la monella con quel corpo da mummia. Che male. Già immaginai di dover essere rinchiusa lì a lungo.

Che vita che mi aspettava. Quando la porta venne nuovamente socchiusa mi aspettai che fosse mia madre con il dottore o un'infermiera o uno che avesse scambiato la mia squallida camera per i bagni. Se effettivamente sarei dovuta rimanere lì per più di un giorno, avrei chiesto un alloggio più decente. E invece vidi un volto, una figura, che mi sembrava un miraggio. Credevo veramente di star sognando o addirittura essere morta e quello era il paradiso, o l'inferno, dovevo ancora capirlo. Mio padre mi guardava afflitto e quasi ci credetti alla sua faccia dispiaciuta. Dovevo ammettere che ero ancora rancorosa, ma non al punto da non accettare una sua visita, in fondo anche grazie a lui che ho scoperto la mia strada. Solo che avevo anche compreso di non avere bisogno di una figura paterna. Per molto tempo pensai che quella sensazione di inadeguatezza fosse scaturita dalla sua assenza, forse mi sentivo obbligata a starci male, non so ma in quel momento, su quel lettino da manicomio, gli feci un sorriso: piccolo ma sincero. In fondo avevo accettato che nessuno era immune agli errori, ma avevo anche capito che sta a noi decidere se accettarli o meno. E io diciamo che di errori, nella mia ne avevo già abbastanza. -Ei piccolina.- parole che si persero nell'aria per quanto leggere, per quante timorose. -Ciao papà.- la gente stava male per tanti motivi, io ero una di quelle, quindi non desideravo aggiungermi anche io come peso. Mi si avvicinò e mi lasciò delle carezze caute sui capelli, stando attento ai punti sulla tempia. -So che hai altro per la testa, ma ti chiedo di cercare nel tuo cuore la forza per perdonarmi.- avevo paura che a tratti scoppiasse in lacrime. Sperai che non lo facesse. Immaginate che imbarazzo. -Tranquillo.- lo rassicurai perché aveva ragione, avevo altro per la testa e tra quelle cose non c'era rancore per le sue aspre e innaspettate parole. Non più almeno, l'avermi inizialmente mantenuta a New York aveva giocato un ruolo importante in questa decisione. Ero giunta alla conclusione che privarlo di me, sarebbe stato abbastanza, specie se si portava addosso certe colpe. -Ho temuto il peggio.- riuscivo a vedere sincerità nei suoi occhi e quindi ricambiai. Ero comunque sua figlia e in fondo ci teneva a me. -Non è niente.- era buffo come mi trovassi ad essere sempre io quella che consolava li altri quando forse, serviva a me un po' di conforto. Ma ognuno ha il suo ruolo, le sue tendenze. Alcune le avevo stroncate, ma altre avevano radici troppo profonde in me.

Cuci i miei tagli -ShivaDove le storie prendono vita. Scoprilo ora