Capitolo 7

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Ci staccammo piano l'uno dall'altra, e riaprii gli occhi. Fu come svegliarsi da un sogno di cui non si ricorda nulla.
Era come se fossimo partiti per un'altra dimensione e poi tornati dopo anni che in realtà erano stati secondi.

Io lo guardai, sperando che i suoi occhi verdi mi avrebbero fatto pensare a qualcosa di sensato da dire, ma lui sembrava esattamente nello stato in cui ero io.

Mi morsi il labbro, continuando a guardarlo, pregandolo di dire qualcosa, o fare qualcosa. Stare lì impalati come due scemi non avrebbe portato a nulla, e mi avrebbe solo fatto riflettere di più. Pensare troppo.

Pensare al fatto che io avessi appena baciato il figlio di papà, il pallone gonfiato, quello con l'ego smisurato e che era entrato nel mio bagno ancora prima di conoscermi. L'avevo fatto sul serio. Non volevo riflettere in un quel momento, altrimenti la parte razionale del mio cervello si sarebbe fatta viva a breve. Ed io non volevo.

Marco mantenne un'espressione seria, e si guardò intorno.

– Che ne dici di andare via da qui? – disse, mordendosi un labbro.

– Sì, ti prego. – dissi, rilasciando un sospiro di sollievo.
Aspetta... ma che aveva intenzione di fare? Ed io, soprattutto, volevo seguire quello lì?
Quello che aveva potuto uccidere il mio cane con i suoi dannati farmaci top secret? Oh sì, volevo andare via proprio con lui.

Marco mi sorrise come poche volte aveva fatto, mi prese la mano ed iniziò a camminare a passo spedito. Tornammo nella sala principale, dove tutti sembravano divertirsi.

– Permesso. Scusate. – Marco si faceva strada tra gli invitati, ed io lo seguivo, sempre tenendogli la mano.
Ci accorgemmo di Davide, intento a parlare con una signora che sembrava la regina Elisabetta.

– Cavolo. – mormorai, sperando che lui non si fosse accorto di noi.

– Si arrabbierà. – disse sicuro Marco, ed io annuii.
Certo che si sarebbe arrabbiato, eravamo solo da un'ora a quella festa, e non sarebbe stato carino se noi due ce ne fossimo andati così presto. Ma qualcosa nello sguardo di Marco, che bruciava nei suoi occhi e anche dentro il mio petto, mi diceva che l'avremmo fatto comunque.

– Con lui ci chiariremo domani. – dissi, scrollando le spalle.

– Sono d'accordo. – mi disse lui, facendo il mio stesso gesto.

Mi riprese la mano, ed iniziò a correre per cercare di uscire più in fretta. Ovviamente così facendo non passammo inosservati, e Davide si girò verso di noi con la faccia piegata in un'espressione di orrore.

– Dove state andando voi due?! – chiese, con gli occhi fuori dalle orbite.

– Ci dispiace, ma dobbiamo proprio andare! Domani ti spiegheremo tutto. – gli dissi di sfuggita, e lui non disse niente ma rimase a bocca aperta a guardarci sparire piano piano.

Dopo qualche flash che sentii posarsi su di noi, riuscimmo finalmente ad uscire dal "palazzo reale" con l'ansia e la fretta di Cenerentola. Una volta fuori, saltammo subito nella macchina di Marco.

Rimanemmo fermi a fissare il vuoto per qualche secondo, con il fiatone per la corsa fatta. Io buttai la testa all'indietro sul sedile, e mi sfilai i tacchi che per miracolo erano rimasti intatti. Mi girai verso Marco ed incontrai il suo sguardo. Dopo di che scoppiammo a ridere, e non avrei mai pensato che potesse accadere tra noi due.

La sua risata spontanea e fragorosa era una musica bella, non credevo potesse suonare così dolce. Di certo era una musica che non ero abituata a sentire spesso. I suoi occhi si fecero piccoli e luminosi, come due lucciole, e delle piccole rughe d'espressione gli si formarono agli angoli degli occhi. Si sporse, ridendo, verso di me, e una ciocca di capelli che si era ribellata alla lacca gli ricadde sulla fronte.

Ad maioraDove le storie prendono vita. Scoprilo ora