Capitolo 10

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- Wow, questo vestito è un sogno! – esclamai puntando il dito verso lo schermo del computer.

– Ti piace? Allora lo seleziono. – annuì Davide con un sorriso.

Stavamo scegliendo i vestiti da pubblicizzare nel prossimo shooting, ovviamente tra le collezioni che i vari brand ci avevano messo a disposizione.

– Notizie di Marco? – mi chiese ad un tratto.
Mi ero accorta di quanto si fosse sforzato di non tirare fuori l'argomento per tutto il pomeriggio.

– No. – mormorai.

Ebbene sì, nonostante avessi fatto la figura della paladina della giustizia, Marco aveva fatto passare un giorno senza che ci parlassimo. Mi aveva solo lanciato uno sguardo indecifrabile, e poi se ne era andato dalla festa rincorso da sua madre.
Io e Marta restammo fino alla fine della serata, principalmente perché il mio capo mi aveva impedito di andarmene. Non perché avrei dovuto fare la mia apparizione alla festa, ma perché sapeva che Marco volesse essere lasciato da solo in quel momento.

– Sei arrabbiata con lui? – mi chiese ancora, smanettando con il computer.

– Non lo so, dovrei? L'altro giorno mi ha liquidata in quel modo, cercando di cacciarmi da casa sua in modo gentile, fallendo purtroppo. Poi l'ho difeso davanti a tutti, esponendomi anche parecchio solo per lui, rispondendo a tono ad un uomo potente che nemmeno conosco. E non mi ha nemmeno scritto un messaggio dopo ieri sera. Potrei anche cercare di non essere arrabbiata con lui ma... cosa dovrei pensare? Come dovrei agire ora? Forse non dovrei agire affatto... - sbuffai, girando sulla sedia dell'ufficio di Davide fino a farmi venire il capogiro.

Avevo raccontato tutto al mio capo, anche della notte di fuoco che c'era stata tra me e Marco. Sapevo che fosse il nostro primo sostenitore, e che tenesse a noi non solo a livello lavorativo.

– Io so che Marco è difficile da gestire, e purtroppo nessuno che lo conosca così bene ha mai scritto un libretto di istruzioni, ma intanto potresti fidarti dei miei consigli. – fece spallucce, con un sorriso bonario.

– Illuminami. – dissi con voce stanca, appoggiando il mento allo schienale della sedia.

– Marco adesso si è chiuso a riccio perché non è abituato a donne grandi come te. Credo che nessuna prima d'ora gli abbia mai urlato "non farò mai parte della tua collezione", o abbia avuto il coraggio di parlare in quel modo a suo padre per difenderlo. Sei l'unica donna che lo tratta come un essere umano, e non come un dio. È abituato ad essere venerato dalle donne, non aiutato. E né tantomeno combattuto. Credimi, lui si trova in difficoltà quanto te. Quindi ti consiglio di fare tu un primo passo, stavolta. Vedrai che si scioglierà un po' e ti darà l'accesso a una parte di sé. E magari, la prossima volta sarà lui a fare un passo verso di te. – mi disse, e i suoi occhi mi sorridevano come facevano quelli di mio padre.

Lui di certo non mi avrebbe dato quello stesso consiglio. Piuttosto mi avrebbe detto di scappare dal caso umano in cui mi fossi imbattuta prima che mi facesse soffrire e che fosse troppo tardi. Per fortuna però a mio padre certe cose non le dicevo, altrimenti sarebbe già andato sotto casa di Marco con dei forconi.

– Quindi? Che dovrei fare ora? – gli chiesi, guardando fuori dalla finestra con fare pigro.

– Sbrigati, santo cielo! Va da lui, a quest'ora sarà ancora sepolto da scartoffie nel suo ufficio. Tiralo fuori di lì, se riesci. – mi disse, costringendomi ad alzarmi da quella sedia.
Mi prese il braccio, conducendomi fino all'atrio, e mi porse il cappotto che era attaccato all'attaccapanni.

– Buona fortuna. – mi diede un buffetto sulla guancia e una pacca sulla spalla, con cui mi spinse letteralmente fuori dall'ufficio.

Entrai nella mia macchina, che per fortuna quel giorno Marta aveva lasciato a me, e mi diressi verso l'azienda di Marco. Anche se non ero sicura di cosa stessi facendo.


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