Capitolo 32

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- Spettro non ha un bella cera... - disse Marco voltandosi verso il bagaglio.

- Sì, dimenticavo... soffre la macchina, quindi potrebbe vomitare. Ma di solito fa il bravo. - dissi tranquilla, facendo spallucce. Marco invece sobbalzò sul sedile mentre stringeva il volante.

- E me lo dici adesso?! Lo sai che lo adoro, ma se mi vomita nella macchina io... - disse, iniziandosi subito ad alterare. Io ridacchiai e mi voltai verso il mio cane.

- Tesoro, oggi ti do il permesso di vomitare. Anche a spruzzo se vuoi, puoi sbizzarrirti. - sussurrai al mio cane.                                                                                                                                                                    Ovviamente ero ironica, Spettro aveva imparato a comportarsi ormai, ma vedere Marco allarmarsi in quel modo era un divertimento assoluto. Il pallone gonfiato si era immediatamente sgonfiato, e la sua pelle ambrata era diventata bianca dalla paura che la sua macchina lussuosa potesse sporcarsi.

Eravamo in viaggio verso casa mia, saremmo andati a trovare Marta. Erano finalmente arrivate le vacanze di Pasqua, e volevamo approfittare di quei pochi giorni di riposo per andare a trovare la nostra amica. Marco aveva insistito per andare con la sua macchina, e fui costretta ad accettare.
Stranamente mi sentivo a mio agio con lui, ma allo stesso tempo ero contenta che il viaggio non fosse poi così lungo. Nelle ultime settimane non c'era stato nessun litigio troppo rilevante, avevamo solo continuando a punzecchiarci come al solito. In quel periodo di quasi quiete avrei potuto dire addirittura che io e Marco fossimo ormai diventati amici. Anche se non ne sarei mai stata troppo sicura.

- Marco, accosta a destra. Fra poco dovrai imboccare un'altra strada, è meglio se ti avvicini da adesso. - gli dissi, indicando la corsia a destra. Lui alzò un sopracciglio, dubbioso, e controllò il suo telefono che era attaccato al cruscotto tramite un aggeggio che nella mia macchina non avrebbe mai funzionato.

- Il navigatore non lo dice. - mormorò, come se io dicessi solo cavolate.

- E chi se ne frega del navigatore! Capisco che tu abbia voluto partire con la tua macchina che è molto più comoda e spaziosa, ma lascia che ti dia io le indicazioni. O credi di sapere meglio di me la strada per andare nella città in cui sono cresciuta? - gli chiesi, voltandomi verso di lui. Lui posò per un attimo lo sguardo su di me, e dopo aver sbuffato sonoramente, andò nella corsia di destra. Io sospirai, risedendomi dritta sul sedile.

- Allora, com'è questa fantastica città? - mi chiese, l'angolo della sua bocca era alzato in un sorrisetto che mise in evidenza il suo zigomo che sembrava quasi quello di un bambino in quel momento. Il suo sguardo era divertito, e chiaramente stava già prendendo in giro la mia piccola città.

- È modesta, certo non è Roma o Milano. Non ci sono molte cose divertenti da fare la sera. E ne sarai sorpreso, ma non c'è neanche pace. - ridacchiai, pensando a tutti i drammi che erano successi fin quando avevo abitato lì.

- Che vuoi dire? - mi chiese Marco incuriosito.

- Beh, è una cittadina con i suoi pazzi. Ci sono i soggetti che tutti conosco e che fanno sempre un po' di trambusto per strada, hai presente? - gli dissi, cercando di spiegarmi bene.

- No. - rise lui, scuotendo la testa. Io alzai gli occhi al cielo, ricordandomi che lui non potesse capire. Era cresciuto in una metropoli e in una famiglia benestante. Di certo nell'ambiente che aveva frequentato da adolescente non c'erano i pazzi che invece avevo conosciuto io.

- Beh... comunque può sembrare un'insulsa città di provincia, che puoi percorrere da un estremo all'altro in solo mezz'ora, dove tutti si conoscono e i giovani hanno un solo punto di ritrovo, ma... è casa. - dissi, con un sorriso che nemmeno mi accorsi di avere. Marco mi guardò confuso, poi tornò con gli occhi concentrati sulla strada.

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