Capitolo 31

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- E rimasero in due... - mormorò con un sorriso soddisfatto. Io alzai gli occhi al cielo, pregando Dio di darmi la forza per non uccidere Marco.

- No, davvero, puoi andare anche tu. Tuo padre è ancora qui? - gli chiesi, mentre tornai in cucina per finire di sistemare.

- No, per fortuna. - mi rispose lui, che ovviamente mi seguì.

- Bene, allora non hai bisogno di rifugiarti qui per scappare da lui. Vai a casa. - gli dissi in modo gentile. Non lo stavo cacciando, solo che non mi sentivo a mio agio in quel momento. Non volevo stare da sola con lui.                                                                                                                                              Mi venne in mente lo shooting che avevamo fatto la settimana prima, quello per San Valentino, e mi chiesi cosa mi fosse saltando in mente quando decisi di fare la spavalda sdraiata su di lui in quel letto. Come era possibile che in quel momento, in casa mia e senza riflettori puntati addosso, mi sentivo così vulnerabile in sua presenza?

- Mi stai cacciando? - mi chiese, e per un attimo sembrò ferito dal mio comportamento.

- No, io... - iniziai a dire per giustificarmi, ma lui mi interruppe.

- No perché sai... non sei proprio nella posizione di farlo. Anzi, dovresti ringraziarmi. - disse, alzando di poco il tono di voce. Si allontanò da me e aprì le braccia in un gesto interrogativo.

- Ringraziarti?! - ripetei incredula, facendo un passo verso di lui. Di che cavolo stava parlando?

- Certo che sì! Ti ho svoltato la serata, o sbaglio? Non ti ha fatto piacere stare un po' in compagnia? - mi chiese, spalancando gli occhi come se fossi io la pazza.

- Ovvio! - urlai, iniziando ad innervosirmi sul serio. Mi voleva rinfacciare di aver fatto una cosa carina per me? Voleva vantarsi come al solito delle sue gesta?

- Ecco, appunto. Ho avuto questa idea, ho fatto questa cosa per te, Emma, anche se tu non lo avresti meritato. - disse, puntandomi il dito contro con fare accusatorio. Al contempo però abbassò la voce, come se la rabbia dentro di lui si fosse tramutata solo in dispiacere.

- Di che diavolo stai parlando? - gli chiesi, sbattendo un pugno sul ripiano della cucina. Lo guardai con occhi freddi da sopra gli occhiali, aspettando una sua risposta.

- Ti sei comportata di merda. Sul serio. - disse con tono sicuro, incrociando le braccia al petto.

- E quando? - gli chiesi, alzando un sopracciglio, sapendo già che ne avrebbe detta una delle sue.

- Quando mi hai urlato contro in videochiamata e buttato addosso una rabbia che non meritavo. Ti ho aiutato, domenica sera, mi sono preso cura di te... ma tu mi hai trattato come se... - si tirò i capelli con le dita per il nervoso, e il suo sguardo guizzava da una parte all'altra della stanza perché non riusciva a posarlo su di me.
Io schiusi le labbra, sorpresa dal fatto che avessi sul serio ferito i suoi sentimenti. Io pensavo mi avesse portata a casa sua quella notte solo per la sue manie di protagonismo, e i suoi ormoni implacabili. Pensavo fosse uno dei suoi modi contorti per affermare il suo potere, la sua forza, il suo fare la parte del l'eroe. E invece forse mi ero sbagliata.

- Forse avrei dovuto lasciarti sola, in questa casa che ora odi perché Marta non c'è. Forse avrei dovuto lasciare che ti addormentassi per terra vicino a Spettro con quel vestito da migliaia di euro, a piangere la mancanza di Marta. Avresti voluto questo, forse? - mi chiese, e non c'era nessun intento provocatorio nella sua voce. Solo frustrazione e confusione, perché non avrebbe mai risolto il dilemma che era la mia mente. Non avrebbe mai capito cosa volessi davvero, e forse nemmeno io l'avrei fatto.

Ad maioraDove le storie prendono vita. Scoprilo ora