Marco serrò la mandibola, e aggrottò la fronte. Spostò lo sguardo da me al padre, e si mise le mani in tasca.
– Papà, va a casa. Per oggi basta così. – sospirò lui, con un tono non troppo severo.
– Va bene. Ordino qualcosa per cena. Dovresti assumere una domestica, non puoi mica andare avanti così. – gli disse il padre, come se vivere senza una governante fosse insostenibile.
– Mi basta la signora delle pulizie che viene una volta alla settimana. Me la cavo benissimo da solo, e a casa ci sto molto poco. Sarebbe inutile. – fece spallucce il figlio, cercando di non alzare gli occhi al cielo per l'argomento che il padre avesse aperto.
– Certo, ti è costata l'ira di Dio quella casa, e preferisci vivere in ufficio. – ridacchiò Lorenzo, ovviamente sarcastico. Marco gli fece un sorriso tirato come per congedarlo, poi posò gli occhi nei miei per un secondo.
– Andiamo nel mio ufficio. – mi disse con fare duro e autoritario, voltandosi e facendosi seguire.
Nella manciata di secondi che ci era voluta per arrivare nel suo studio avevo cercato di pensare a cosa dire per giustificarmi, o almeno spiegargli la cosa. Quando entrammo chiuse la porta dietro di me, poi si girò guardandomi come forse non mi aveva mai guardato.
Era ferito, deluso, tradito.
E terribilmente arrabbiato.
Mi preparai mentalmente a quello che avrei dovuto affrontare di lì a pochi secondi.– Dimmi che ho sentito male, Emma. – mi disse, scandendo le parole con una lentezza che mi trafisse il cuore.
Sentivo il dolore che cresceva nella sua voce.Io morsi il labbro, sentendomi improvvisamente vulnerabile.
Era la prima volta che lui avesse ragione, che fossi io nel torto, che non sapessi come sostenere la mia tesi.
Distolsi lo sguardo, non sopportando la vista dei suoi smeraldi che stavano cercando di nascondere le sue emozioni, invano.
Prese quel mio gesto come un "no", e strinse i pugni lungo i fianchi.– Perché lo sai? Hai frugato tra le mie cose quando stavo da voi e hai trovato le mie pasticche? – mi chiese, avvicinandosi lentamente a me come una pantera.
Io schiusi la bocca, pronta a dire di sì. Quello sarebbe stato un modo per non mettere in mezzo Marta nella situazione. Ma avrei dovuto mettere nella bugia un qualcosa di vero.– Non proprio. Me l'ha detto il veterinario quando mi ha chiamato la mattina dopo che Spettro si è sentito male. Aveva ingerito una delle tue pasticche, solo che tu mi avevi detto che fosse solo un'aspirina. – gli spiegai, sperando che non facesse altre domande.
– Capisco. E poi? Maniaca del controllo come sei, hai chiesto spiegazioni a Marta. Certo, è andata così. E lei mi ha pugnalato alle spalle. – scosse la testa, sfregandosi la faccia con la mano.
Come non detto. Aveva fatto due più due dopo un secondo.– No! Marta non c'entra nulla. – dissi spontanea, cercando di ricorrere ai ripari.
– E allora come fai a sapere che è mio padre la causa di tutto? – alzò la voce, sporgendosi ancora di più verso di me.
Io evitai di indietreggiare, altrimenti avrebbe pensato che avessi paura.
Rimasi in silenzio, e cercai di sostenere il suo sguardo.– Appunto. Grazie Marta. – ridacchiò, poi si allontanò da me e con gesto veloce del braccio fece volare le scartoffie dalla sua scrivania, che si sparsero per tutta la stanza.
Io chiusi gli occhi per un attimo, maledicendomi mentalmente per aver messo Marta nei casini.– Non te la prendere con lei, ti prego. Ho insistito perché mi dicesse la verità. E non perché io sia una maniaca del controllo, ma perché Spettro avrebbe potuto farsi male sul serio! – alzai la voce anche io, visto che da quel punto di vista avessi più che ragione.
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Ad maiora
RomanceSequel di "Odi et amo" "Verso cose più grandi." "Mi misi le mani sulla pancia, a furia di ridere mi mancava il respiro. Marco si sfregò il viso con le mani, scuotendo la testa e guardandomi divertito. - Come cavolo è successo? - chiesi, riferendomi...