Capitolo 34

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- Già mi manca. - mormorai, dopo che uscimmo definitivamente dalla città. Il weekend era passato, avevamo fatto un bel pranzo di pasquetta in famiglia, ma era arrivato il momento di tornare a casa. Tornare alle nostre vite che per quei due giorni sembravano essersi arrestate.

- Lo so. - Marco mi guardò con occhi dispiaciuti, e mi sorrise appena.                                                          Poi tornò con lo sguardo sulla strada, e strinse gli occhi per un attimo. Quel gesto spontaneo fu la dimostrazione del dolore fisico che tormentava anche lui. L'assenza e la preoccupazione per Marta.

- Troverò il modo di farla tornare. - disse sicuro, ma la sua voce roca lo tradì.                                            Era turbato, e forse non tanto per Marta, ma per se stesso. Non potevo sapere quali pensieri stessero attraversando la sua mente in quel momento, ma scorgevo un senso di vuoto e di paura nei suoi smeraldi che avevano smesso di luccicare da quando Marta sparì in lontananza dietro la nostra macchina. Marco era spaventato a morte, sembrava quasi un bambino che era stato abbandonato dalla sua mamma.
In quei mesi lui si era così tanto abituato alla sua presenza, al suo sostegno, che ora era arrivato al punto tale di aver paura di non farcela senza di lei. Come mi aveva detto Marta, lei era l'unica che sapeva come prenderlo, come allontanarlo dai suoi demoni. Allora forse anche lui ne era consapevole, sapeva che senza di Marta sarebbe potuto impazzire, e perdersi.

- Ma se avevi detto che avremmo dovuto lasciarla in pace e farla stare tranquilla?! - chiesi con un sopracciglio alzato.

- Ho cambiato idea. - fece spallucce, come se fosse stata una cosa da poco. Ma i suoi occhi erano pieni di nuvole, ed io le vedevo.

- E che intendi fare? Lo sai che i mezzucci da principe ricco non funzionano con lei. Marta non si compra. - dissi, sottolineando l'ultima frase. Mi faceva quasi ridere la sicurezza che aveva di poter fare qualsiasi cosa al mondo. Era come se pensasse di avere tutto a portata di mano, manco fosse stato Dio.

- Questo lo so, ma credimi... i soldi servono sempre, in un modo o nell'altro. - mi guardò con il suo solito fare saccente e snervante. Più lo osservavo, e più capivo le parole che Marta mi aveva detto in quei mesi. Quella era tutta una maschera. Una maschera per nascondere la paura verso ciò che poteva ferirlo.
Io lo guardai con una smorfia indecifrabile, ma che esprimeva tutto il mio disappunto.

- Non dico che farò tornare Marta con i soldi. Ma devo architettare qualcosa. Un qualcosa che la faccia riflettere, e che le ricordi che noi siamo la sua casa. - disse sicuro, e spaventosamente serio.

- Vedremo. - mormorai, lasciandomi andare sul poggiatesta del sedile. Guardai lo specchietto per controllare il mio cane, che faceva sbucare il musetto dal portabagagli per impietosirmi. Anche io sarei voluta scendere da quella macchina, proprio come lui, ma non si poteva.

Più passava il tempo, più le nostre conversazioni durante il viaggio si fecero ambigue.

- L'altra sera eri diversa. - disse così di punto in bianco, dopo minuti di silenzio assordante.          Io sobbalzai sul sedile, sorpresa da quell'affermazione. Mi girai, guardandolo interrogativa.

- Sì, cioè... eri probabilmente quella che doveva essere stata la Emma Guerra adolescente. Non ti avevo mai vista ridere così spensierata. - mi disse, non vergognandosi del fatto che mi avesse osservata così a fondo.

- Certo che ero diversa. Era una cena tranquilla con i miei amici di sempre. - dissi ovvia, scrollando le spalle. Quell'argomento non mi stava piacendo per niente, soprattutto perché odiavo parlare di me.

- Giusto. Forse è perché noi ci adattiamo al contesto in cui ci troviamo al momento. Tu sai essere molte cose Emma, e anche io. - disse con voce profonda, calandosi gli occhiali da sole sul viso e abbassando il finestrino. L'aria di primavera si sprigionò nell'abitacolo, e Spettro sembrò più sollevato.

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