Marta aveva avuto la brillante idea di mandare Marco a parlare con Tommaso. Credeva che bastasse dirgli civilmente di andarsene, e lui l'avrebbe fatto.
Però Marta non aveva calcolato una cosa fondamentale: il fatto che né Tommaso né Marco sembravano tipi disposti a discutere in modo civile, senza mettersi le mani addosso a vicenda. Il piano avrebbe potuto funzionare, o si sarebbe potuto tramutare in un completo disastro. Era tutto nelle mani di Marco.
Avevo voluto accompagnarlo, perché non mi sentivo molto tranquilla. Comunque la mia presenza era stata molto inutile, visto che mi aveva lasciata fuori dal palazzo, per paura che potesse succedere qualcosa anche a me.
Mi sedetti su una panchina mezzo rotta che era lì vicino, e sospirai, sperando di rivedere Marco tutto intero. Alzai lo sguardo verso il cielo, ed osservai le nuvole grigie che lo coprivano.
A Roma c'era sempre il sole, e questa non era una leggenda, ma a volte capitava che ci fossero vari giorni consecutivi di piogge e nuvole grigie. Infatti, proprio quelli, erano stati dei giorni tristi.Avevo dovuto smettere di comprare dolci e pasticcini a Marta, e ora sembrava felice di essere tornata alle sue insalate che io reputavo davvero tristi. Marco era rimasto dormire da noi il fine settimana, poi era tornato a casa sua visto che doveva occuparsi anche dell'azienda. Comunque dopo il lavoro, veniva sempre a cena da noi, e quasi non mi dispiaceva la sua presenza. Forse il fatto che il viso di Marta si illuminasse in quel modo solo quando lui suonava il campanello, era un buon motivo per mettere da parte il mio odio per il pallone gonfiato.
Quelle mattine, mentre io ero all'università, Marta si chiudeva a chiave dentro casa, per sentirsi più al sicuro. L'avevo aiutata a riprendere in mano i libri, e l'indomani sarebbe tornata all'università. Il suo livido era quasi sparito, e avevamo passato pomeriggi interi a parlare di mille cose, e lei si sfogava parecchio con me. Cosa che io invece non avrei fatto se fossi stata al posto suo, visto che al contrario di lei, in situazioni del genere preferivo far finta che andasse tutto bene e concentrarmi solo su me stessa e sullo studio.
Comunque, stavo cercando in tutti di modi di farle capire che l'unico amore che le serviva fosse quello per se stessa. Sapevo che non avrebbe mai perdonato Tommaso per ciò che le aveva fatto, ma lo amava ancora, e le mancava. Le mancava qualcuno che la coccolasse, qualcuno che non fossimo io e Marco. Ciò che cercavo di farle capire era che aveva bisogno delle sue stesse coccole e attenzioni, e che in nome del suo valore di donna, avrebbe dovuto dimenticare Tommaso al più presto. Lei mi ripeteva che avessi ragione, ma che non potessi capire in realtà quanto fosse difficile dimenticare qualcuno.
Ritirava sempre fuori il discorso di Andrea, diceva che amassi solamente la sua figura di chirurgo e principe azzurro con un golden retriever.A proposito di lui, gli avevo spiegato la situazione per telefono, e ci era rimasto davvero male per Marta. Mi aveva chiesto se avessimo bisogno di una mano, ma avevo voluto tenerlo fuori dalla tutta questa storia. Anche perché non sarebbe stata una cosa carina, praticamente approfittarsi della sua bontà quando sapevo che lo avrei lasciato qualche giorno dopo.
Infatti era quello che avevo programmato di fare: l'indomani ci saremmo visti e avrei rifiutato la sua meravigliosa proposta. Los Angeles sarebbe stata la città delle mille occasioni, ma sapevo che non sarei stata felice.In primis, non avrei mai, e poi mai, lasciato Marta da sola dopo quello che era successo, e mai come in quel momento avevo sentito Roma come casa mia. Non ero pronta a lasciare i miei professori antipatici e le mie compagne impiccione che stravedevano per il pallone gonfiato. Non avrei potuto rinunciare alla vista di Spettro che cercava di tirare su il morale a Marta facendo lo scemo. Mi sarebbe mancato quello che ormai chiamavo lavoro, e la soddisfazione che provavo per aver avuto successo in una cosa che finalmente non riguardasse solo la medicina.
E poi c'era anche quella maledetta frase, pronunciata così di punto in bianco, in quel maledetto giorno. Non avevamo mai un attimo da soli in cui non ci preoccupavamo per Marta, e poi non credo che avremmo mai parlato di quello che mi aveva detto. Forse non era niente, forse l'aveva detto così per dire... ma il modo in cui lo disse fece scattare qualcosa in me, come se Marco avesse spinto un interruttore e... boom. Avevo preso la mia decisione. Sarei rimasta a Roma.
Non perché me l'avesse chiesto lui, ma quelle sue parole mi avevano fatto realizzare che rimanere nella mia città fosse la cosa giusta. La cosa che sentivo giusta.
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Ad maiora
RomantizmSequel di "Odi et amo" "Verso cose più grandi." "Mi misi le mani sulla pancia, a furia di ridere mi mancava il respiro. Marco si sfregò il viso con le mani, scuotendo la testa e guardandomi divertito. - Come cavolo è successo? - chiesi, riferendomi...