Capitolo 1

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Tutto attorno a me sembrò fermarsi. Le parole di Marta mi rimbombarono in testa fino a farmela girare.
Io e Marco ci guardammo con gli occhi fuori dalle orbite per lo shock.

Non poteva essere. La mia teoria non poteva essere giusta. Tommaso non poteva aver messo le mani addosso alla mia migliore amica.

Il mio petto si iniziò ad abbassare e alzare velocemente, non riuscivo a regolare il respiro, e le mani con cui sfioravo la guancia pesta di Marta mi tremavano. Marco invece sembrava lottare contro se stesso per non spaccare tutto ciò avesse intorno.

– Che cosa?! – dissi con il mento tremolante, cercando di ricacciare indietro le lacrime che si stavano accumulando nei miei occhi disperati.

Continuavo a guardare Marco come se lui fosse stato la mia bussola, come se avesse potuto sistemare tutto con lo schioccare delle dita.
Marco era capace di fare molte cose, con un solo schiocco delle dita, ma non quello. Non poteva cancellare il dolore di Marta e la violenza di Tommaso.

Cercai di farmi forza, ricordandomi che la mia migliore amica fosse davanti a me con un'espressione traumatizzata e un corpo tremolante che in quel momento sembrava così fragile. Cercai per un momento di accantonare i mille "se" e i mille "ma" che mi venivano in mente, i sensi di colpa per non averla protetta abbastanza. In quel momento avrei dovuto sostenerla, letteralmente.

La strinsi tra le mie braccia come una madre fa con il suo bambino appena nato. E lei sembrava altrettanto delicata e minuscola. Marco lasciò la presa su di lei, e diede un calcio a vuoto lanciando un urlo che fece tremare la mia amica.

– Io lo ammazzo! Non la può passare liscia ormai! Io lo uccido. – disse furioso come forse non lo avevo mai visto, puntandomi un dito contro come se mi stesse facendo una promessa.

– Marco smettila! Non è di questo che ha bisogno Marta adesso! Andiamo a casa. – dissi, aprendo il portone del nostro palazzo.

– Io non posso stare qui, senza fare niente. Devo andare da lui. Devo fare qualcosa. Devo fargliela pagare. – continuava a ripetere quelle frasi come se fosse stato ipnotizzato dalla sua stessa rabbia. Marco aveva smesso di ragionare, e quando succedeva non prometteva niente di buono.

– Non sei qui senza fare niente. Marta è qui, e tu devi rimanere qui. Aiutare lei adesso, è ciò che conta. Non resterà impunito, te lo assicuro. – cercai di farlo ragionare, con ancora Marta tra le mie braccia. Lui scosse la testa, era diventato rosso dalla rabbia, e le mani gli tremavano dal nervoso.

I suoi occhi guizzavano da una parte all'altra come se stesse cercando per aria i motivi per non andare a casa di Tommaso ed ucciderlo sul serio.

– Non c'è la fa, Em. Ha bisogno delle sue medicine. Quando entra in questo stato niente riesce a farlo tornare in sé. – mi disse Marta con voce flebile. Io spostai lo sguardo da lei a lui, e poi di nuovo da lui a lei.

– Okay, allora facciamo così. Io ora cerco di calmarlo, lui si dovrà calmare per forza. E poi saliremo a casa, lo trascinerò per le orecchie se sarà necessario. Tu ce la fai a prendere l'ascensore? – le chiesi, con la paura che ogni mia parola o gesto potesse graffiarle la pelle.

– Sì, vi aspetto su. – annuì, e anche se aveva ancora quell'aspetto sconvolto, si reggeva da sola e stava iniziando a calmarsi. Di certo avrebbe fatto di tutto per permettermi di calmare il suo amico. Lei prese l'ascensore ed io riacciuffai quella testa calda.

– Marco, andiamo a casa. Ragiona, ti prego. Non risolverai niente andando a casa sua adesso, ma puoi aiutare Marta invece, standole vicino. Ha bisogno di te. – mi avvicinai piano a lui. Quei tre anni di medicina non mi avevano di certo insegnato come comportarmi con persone in quello stato, così seguii il mio istinto.

Ad maioraDove le storie prendono vita. Scoprilo ora