Capitolo 28

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Mi svegliai in un letto che non era il mio. Me ne accorsi non appena mi stiracchiai sul materasso, che non era soffice come il mio. 

Sobbalzai di scatto, pervasa dall'ansia e dalla confusione. La testa iniziò a pulsarmi facendomi impazzire, e una scossa mi percosse il corpo. Quando le fitte alle tempie si attenuarono, riuscii piano piano ad aprire gli occhi con una smorfia. Misi a fuoco la stanza in cui mi trovavo, e tutto quel bianco mi accecò. 

Sobbalzai di nuovo quando mi ritrovai di fronte il panorama mozzafiato fatto di cupole e colonne marmoree.

- O mio dio. Cosa ho fatto? Cosa abbiamo fatto? - iniziai a dire, in preda al panico.                          Non poteva essere. Non potevo esserci ricaduta. Non potevo essere così debole. 

Il cuore mi iniziò a battere all'impazzata, e mi guardai intorno con occhi sbarrati mentre nella mia mente cercavo di ripercorrere le immagini della sera prima. Perché cavolo ero in quella stanza?
Dopo essermi quasi strappata i capelli dalla disperazione, cercai di ragionare per capire cosa fosse successo davvero. 

Mi ricordavo della discussione con il giornalista, i drink che avevamo bevuto e le tartine che avevamo mangiato, e poi mi ricordavo il sorriso bello quanto dannato di Marco. Ma non riuscivo proprio a ricordare come fossi finita in camera sua. 

Presi un bel respiro, e osservai le cose attorno per cercare di tirare le somme. Mi tolsi il lenzuolo di dosso, rendendomi conto di indossare una maglietta larga e dei pantaloni della tuta in cui le mie gambe sembravano scomparire. Notai che il mio vestito verde, da fatina dei boschi come aveva detto Marco, era appeso ad un gruccia sulla scrivania, ed era chiuso in una busta trasparente fatta apposta per gli abiti. Non mi resi conto di aver sorriso in quel momento, per il fatto che Marco avesse pensato a tutto. Mi aveva dato dei vestiti suoi con cui poter dormire, e aveva riposto il mio vestito in un posto sicuro in modo che me lo potessi riportare a casa senza sembrare una cretina per strada.

- Marco! - urlai, rimanendo ancora nel letto. Ripetei più volte il suo nome, ma nessuno rispose. Così mi decisi ad alzarmi, e lo cercai per tutta la casa. 

Una parte remota del mio cuore aveva sperato per un attimo di trovarlo ai fornelli mentre si riscaldava il latte o si faceva il caffè, oppure in bagno, con l'asciugamano legato in vita e i capelli bagnati sulla fronte. Ma lui non c'era.
Sbuffai, tornando nella sua stanza. Solo in quel momento mi resi conto che sulla scrivania, vicino al mio vestito, ci fosse un post-it. Lo staccai dal legno e notai la scrittura precisa e unica del principino. Sembrava aver scritto quel piccolo messaggio con cura, come se avesse pensato molto a quali parole usare, e come disegnare quelle lettere su quello stupido pezzettino di carta. Mi chiesi cosa sarebbe stato capace di fare se avesse scritto una lettera d'amore. Cancellai subito quel pensiero, ricordandomi che Marco Riva non avrebbe mai scritto una lettera d'amore ad una donna.

"Buongiorno dottorina ubriachina! Spero che tu non debba vomitare sul mio letto o altrove perché potrei fartela pagare. Non arrabbiarti se non ti ho svegliata, ma non ne ho avuto il coraggio. Sono dovuto correre in ufficio ovviamente, altrimenti ti avrei accompagnato a casa. Comunque ti ho lasciato dei contanti per prenderti un taxi, così magari fai in tempo a tornare a casa, darti una rinfrescata e andare all'università. Ovviamente se il mal di testa post sbornia non ti stia facendo impazzire. Buon lunedì!" rilessi il post-it per due o tre volte, e se per un attimo il cuore si era addolcito per la premura che Marco aveva mostrato nei miei confronti, poi mi trasformai in una pazza isterica sopraffatta dalla vita.

- Ti odio! - urlai, scansando con rabbia i soldi che aveva messo vicino al post-it.                            Cosa me ne fregava del taxi? Ormai ero in ritardo e all'università sarebbe stato inutile andare, e poi come aveva detto lui, il mal di testa post sbornia non mi aveva messa nella posizione di seguire una lezione di medicina.

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