Dammi una speranza

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Capitolo 11

Tre giorni, esattamente tre giorni che Niccolò e Sara non dormivano neanche sotto sonnifero

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Tre giorni, esattamente tre giorni che Niccolò e Sara non dormivano neanche sotto sonnifero.
Speravano solo che non le avessero fatto niente di niente, che stesse bene, ma ancora non capivano perché volevano la loro bambina.
Se per i soldi, allora avrebbero dovuto già chiamare, quindi le domande aumentavano sempre di più.
Quella mattina però Niccolò fu costretto ad andare in studio essendo chiamato da Jacopo, ma promise a Sara che sarebbe tornato subito.

«Sara io ti giuro che mi dispiace da morire, non la vedo da anni ormai e se sapessi qualcosa te lo direi, sai quanto tengo a quella piccola monella..» disse Andrea poggiando una mano su quella della sua amica.

«stai tranquilla andrè, non è colpa tua e neanche di Vanessa.
Ho passato tutto il tempo a darmi la colpa in questi giorni, ma è del tutto inutile, vorrei solo che fosse qui con me adesso..»

«ma non avete nemmeno provato a far rintracciare la posizione del numero? Quello da dove ti ha chiamato qualche giorno fa?»

«si, ancora non ci hanno dato i risultati però, dovrebbero chiamare nic quando trovano qualcosa»

Sara era distesa sul letto di sua figlia mentre Andrea era semplicemente seduta su una sedia di fianco, le mancava da morire e l'aria in quella stanza sembrava esser più pesante senza di lei.
Ricordava ancora quanto ritenevano inutile la stanza di fianco alla loro, sempre impolverata è piena di scatoloni, poi dopo qualche anno diventò la più bella della casa.
Con le pareti rosa, un letto grande e qualsiasi cosa che rispecchiasse i gusti della loro "principessa".
Ma infondo tutto diventava meno importante quando si addormentavano abbracciati dopo aver visto un film, quando la mattina venivano svegliati da lei che li chiamava dall'altra stanza..
Per altri potevano essere cose fastidiose al massimo, eppure quel terzo posto in mezzo al letto era così vuoto da caderci dentro.

«a che pensi?» chiese Andrea notando che la sua amica stava fissando il soffitto con gli occhi lucidi.

«qualche ricordo, nulla di che»

«ti va di raccontatemelo?»

La bionda chiuse gli occhi e annuì, per poi iniziare a parlare.

«mi ricordo che.. che al suo primo giorno di scuola io non volevo svegliarmi, non ce la facevo a farle fare un passo così grande, avevo pensato di farla iniziare l'anno dopo..
Poi però lei è corsa in stanza e ha iniziato a saltare sul letto, dicendo che mi dovevo svegliare, che doveva andare al suo primo giorno di asilo ed era felice..
Lì non ho potuto fare più nulla, ci siamo alzati tutti e tre e l'abbiamo accompagnata, era tutta contenta, dovevi vederla.
Io piangevo mentre lei entrava in classe, mi ha vista ed è tornata in dietro, quando mi ha detto che ormai era grande per stare sempre a casa, mi è sembrata lei la mamma e io la bambina»

Una lacrima le cadde lungo il volto e non si curò neanche di asciugarla, fosse stata quella il problema..
Passarono qualche minuto in semplice silenzio, finché Sara sentì la porta di casa aprirsi.

«Sara! Vieni di qua!» urlò Niccolò precipitandosi verso la cucina, dove sulla tavola c'erano diversi fogli, su di essi erano scritti i possibili indirizzi in cui poteva essere Angelica.

«che è successo?» chiese la bionda raggiungendolo insieme ad Andrea.

«hanno trovato l'indirizzo, stanno andando già»

La ragazza portò una mano sulla bocca e si affrettò a mettere un paio di scarpe, quasi non voleva crederci.
Andrea disse ai due che potevano tranquillamente andare, avrebbe chiamato Gabriele per farsi venire a prendere.
Il viaggio in macchina fu maledettamente lungo, quella mezz'ora sembrava non passare mai e nessuno dei due spiccicò parola, almeno finché Sara si prese il viso tra le mani e si morse il labbro per non piangere.

«stai tranquilla okay? Non le è successo nulla, adesso la portiamo a casa» le disse lui accarezzandole il viso.

«non posso stare tranquilla nì, stiamo bloccati nel traffico e chissà cosa le stanno facendo»

«cambiamo argomento allora, prova a non pensarci, non ti serve a niente farti paranoie»

Lei annuì e sospirò rumorosamente, per poi voltarsi verso di lui.

«di che vuoi parlare?» chiese lei notando che sul viso di Niccolò si formò un sorrisetto.

«boh, ad esempio che sei un po' troppo emotiva, stai sempre incazzata..»

«nic lo sai che devono passare almeno venti giorni prima di rimanere incinta, no?» lo bloccò Sarà scoppiando a ridere, sapeva dove Niccolò voleva andare a parare.

«dai dammi una speranza»

«va be', una settimana e deve arrivarmi il ciclo, se non mi viene puoi iniziare a sperarci, forse»

Lui poggiò una mano sul suo viso e si allungò per lasciarle un bacio sulle labbra, in tutta quella situazione forse una cosa positiva c'era davvero.
Il resto del viaggio lo passarono in fretta, fortunatamente il traffico si era sbloccato e arrivarono nello stesso punto in cui erano parcheggiate le macchine della polizia.

«è lei il padre della bambina?» gli chiese un agente sulla trentina avvicinandosi.

«insieme alla ragazza di cui ci ha raccontato l'identità, abbiamo arrestato anche un altro ragazzo che era lì con lei.
Al quanto pare stanno insieme ed è stato lui a prenderla»

Niccolò portò lo sguardo alle spalle del poliziotto e vide Sabrina e il suo ragazzo mente svogliatamente si facevano mettere le manette.
Stava già per avviarsi dritto da lui, ma il suo corpo scontrò con quello di Sara appena mosse un passo.

«dobbiamo andare da lei, loro non sono più importanti» gli disse poggiando entrambi le mani sul suo viso.

Il moro rivolse un ultimo sguardo ai due incenerendoli quasi, poi entrò di corsa in quella casa buia e piccola che si ritrovarono davanti.
Lui e Sara la chiamavano ad alta voce per capire dove fosse, finché sentirono un botto nella seconda stanza a destra.
Appena aprirono la porta, la trovarono accovacciata su sé stessa e con le mani sulla testa, mentre sul pavimento c'era un vaso rotto.

«scusa scusa io non volevo romperlo, non lo faccio più» disse sperando che il presente nella stanza non fosse né Sabrina, né il suo ragazzo.

Quando però venne stretta da non due, ma ben quattro braccia da dietro, capì che era tutto finito.

«mamma? papà?» chiese voltandosi piano.

«è tutto finito principessa, tutto finito» le disse lui stringendola più forte.

Quel quadro sembrava maledettamente perfetto, loro tre che stavano abbracciati così forte quasi da farsi male e non avevano neanche intenzione di staccarsi, almeno finché quel vuoto pieno di paura che avevano dentro da troppi giorni sarebbe stato riempito da quel corpicino piccolo e alto a stento un metro che riempiva le loro giornate.

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