Lo aspetto nella sala d'attesa, con i nervi a fior di pelle e le tempie che mi pulsano per l'agitazione. Lo vedo percorrere il corridoio, venendo verso di me con la fronte aggrottata. Mi invita nel suo ufficio, chiudendo la porta dietro di me. "Devo ammetterlo, è la prima volta che un sospettato di omicidio si presenta con nonchalance nel distretto della polizia". Osservo l'uomo attentamente. È completamente diverso da me. Siamo due opposti, quindi comprendo di non essere il tipo di Georgia, neanche lontanamente. "Sono qui per questo. Non voglio costituirmi ma voglio aiutarvi a trovare il colpevole".
"Mi sta dicendo che non è stato lei ad uccidere il capitano di quella barca?" scuoto con decisione la testa. "Non avrei mai potuto farlo. Sono stato a letto con la ragazza ma non ho ucciso nessuno. Quella sera ero un ospite, come tutti gli altri".
"Allora perché è scappato?".
"Ero terrorizzato. Avevo trovato le lenzuola insanguinate e la mazza da baseball nel mio letto. Ero sconvolto".
"Questo però non la allontana dalle indagini. Adesso lei è il nostro unico sospettato..." fa una pausa, rendendomi nervoso. "...però, sono disposto a darle una chance. Prima di tutto, dovremo prendere le sue impronte digitali e analizzare il suo sangue". Accetto, trovando la cosa alquanto sensata. "Ha conosciuto Georgia Beck?" domanda infine. Ingoio la saliva. Messo alle strette, invento qualcosa sul momento. "No, chi?".
"La ragazza che ha aggredito più di un mese fa in quel vicolo..".
"Non conosco nessuno con quel nome".
"Sicuro? Lei mi ha chiesto esplicitamente se potessi proteggerti. Sarebbe stata una richiesta strana se non ti avesse conosciuto".Sono contento che lei abbia rischiato di venire arrestata per complicità pur di mettermi al sicuro, però continuo a negare di averla conosciuta. Non la voglio mettere in pericolo. Deve rimanere fuori da questa storia. "E per quanto riguarda la rapina di dieci anni fa?".
"Sono arrivato in quel negozio troppo tardi, ma mi sono preso la colpa per proteggere qualcuno".
"Chi?" faccio finta di non aver sentito. È una storia vecchia, sepolta. Dopo un'ora di colloquio, Tim Jeffrey mi accompagna da uno dei suoi colleghi per prendermi le impronte. Dopodiché mi saluta, avvertendomi di non uscire fuori dal paese e di rimanere pulito.
Non appena sono fuori dalla centrale, assaporo l'aria frizzantina di Sofia come se fosse la mia prima volta qui. Mi sono tolto un macigno dallo stomaco, però non è davvero finita. Sento che ci vorrà un bel po' per essere completamente libero. Oggi vorrei festeggiare, ballare, bere, fare bisboccia. Dovrei riprendere i contatti con le persone che ho allontanato, però sono tutti in Romania o in Russia ed io non posso spostarmi. Qui a Sofia ho solo Georgia e non sono del tutto certo che voglia rivedermi. Credo che mi odi ancora per averle dato della sgualdrina.
Nel pomeriggio, dopo pranzo, vado da lei avvolto da un cappotto pesante e con la faccia paonazza e infreddolita. La vedo scendere le scale, scrutandomi con aria sorpresa. "Damian? Che ci fai qui?".
"Beh.." faccio spallucce, mentre la neve mi sfiora le guance ".. Hai detto che se non fossi sparito, ci saremmo potuti rivedere. Ho delle novità". Dopo un attimo di esitazione, mi invita a salire da lei. "Entra adesso. Si congela qua fuori". Ha il camino accesso e il riscaldamento sopra i venti gradi. Un plaid sul divano e dei popcorn sul tavolo. "Quello che fai il primo dell'anno, lo farai tutto l'anno" ironizzo sulla sua situazione, facendola ridere. "Lo so, ma non sapevo che altro fare".
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𝐃𝐚𝐦𝐢𝐚𝐧 | 𝐒𝐞𝐛𝐚𝐬𝐭𝐢𝐚𝐧 𝐒𝐭𝐚𝐧
General FictionGeorgia Beck desidera diventare una psicologa. Trasferitasi a Sofia per lavoro, trascorre la maggior parte del suo tempo in ufficio, con l'obiettivo di veder realizzato il suo sogno. Una sera, sulla strada per tornare a casa, un uomo la aggredisce...