Lei era su di me, così calda, dolce, smaniosa. Era una situazione nuova, ma particolarmente piacevole. Stavo disteso su di lei, nei sedili posteriori della mia nuova auto. Una Chrysler Imperial che mi aveva regalato mio padre per i miei sedici anni. Un gran bel regalo, diverso dal solito. Immaginavo di ricevere un assegno, o niente, come ogni anno. Lui era a capo di una enorme azienda che portava il suo nome, mentre mia madre era un avvocato. In ambito finanziario, stavamo piuttosto bene. Continuai a fingermi indigente agli occhi dei miei compagni di scuola. Non volevo essere trattato come quello ricco e altezzoso. Volevo essere me, semplicemente. Quella sera, prima di incontrarmi con Amanda, mia madre era stata silenziosa durante la cena. Intanto la piccola Anastasia trangugiava il pollo come se non mangiasse da mesi. Continuava ad essere rachitica, le braccia ossute. "Stai dritta, Ana!" gridò mio padre, sbattendo il tovagliolo sul tavolo.
Gli occhi enormi di mia sorella si erano posati furibondi su di lui, poi continuò a mangiare. "Adesso vai in camera tua e ci resti fino a domani mattina. E' chiaro?" Anastasia restò seduta. "Mi hai sentito, idiot? Non siamo in un porcile. Siamo gente per bene e mangiamo come le persone per bene, con le posate". Lei non volle saperne, quindi allontanò la sedia e corse in camera. "Sebastian, ti sembra modo?" mia madre lo riprese, ricevendo altri insulti. Mio padre non è mai stato così dolce, non ci ha mai coccolato e non ci ha mai detto: Te iubesc.
Era il solito stacanovista, dedito solo al lavoro e alla sua Rolls Royce che teneva gelosamente parcheggiata in garage. "Vestiti, Madeleine" consigliò a mamma, alzandosi dal tavolo. "Perché?". "Dobbiamo andare da una parte..." mi puntò il dito contro e, con arroganza, disse: "...Stai qui. Resta con tua sorella. Non ci metteremo molto". Lui salì in camera mentre mia madre mi prese da parte. "Perché è sempre così scorbutico?". "Sta avendo dei problemi a lavoro, lubirea mea. Non ce l'ha in alcun modo con voi, d'accordo?".
"Mi ha regalato una Chrysler per il compleanno. Ci credi?". "Tipico di tuo padre". Le sue dita affusolate e rugose si erano posate sui bottoni della mia camicia. "Sei bellissimo, puiule. Un giorno sarai un grande uomo". "Pensi che diventerò come papà?". Mi prese il viso tra le mani e scorsi delle lacrime nei suoi occhi. "Tuo padre era gentile, onesto e romantico appena l'ho incontrato. Ci sono cose che non sai, e spero che tu possa scoprirle un giorno". Papà tornò al piano di sotto, invitando mamma a seguirlo all'esterno. "Rimbocca le coperte a tua sorella, ok? E non bruciare la casa". Tentai inutilmente di non alzare gli occhi al cielo, ma mi venne spontaneo. La Rolls Royce lasciò velocemente il vialetto, imboccando la strada che portava al centro città.
Mi misi sul divano a guardare la tv, intanto che Amanda mi inondava di messaggi sexy. Era stato strano riceverne così tanti, quindi poteva esserci solo una spiegazione. Era pronta a fare l'amore con me. Ci pensai su e il mio corpo sembrò rispondermi. Salii in fretta le scale, osservando Anastasia. "E' ora di dormire!" la presi in braccio, infilandola sotto le coperte. "Dov'è mamma?". "Torneranno tra poco. Tu adesso ti metti comoda qui e dormi, va bene?". "Tu dove vai?". "Ehm..." le gambe mi tremarono "...sarò al piano di sotto. Promettimi che starai qui zitta e buona". Anastasia annuì, portandosi le coperte fin sopra alla testa. "Noapte buna, sora!" la baciai sulla fronte per poi spegnere la luce che teneva sul comodino. Afferrai le chiavi della mia auto per andare da Amanda.
"Sei arrivato finalmente!". Ha aperto le braccia per accogliermi. Sorridente e smaniosa, iniziò a baciarmi. "Ho lasciato mia sorella sola a casa. Non posso stare molto tempo". "Faremo in fretta". La presi per mano, andando verso l'auto. Cercammo un luogo appartato e accogliente. Amanda si sfilò in fretta il maglione da sopra la testa. Sotto indossava una minigonna di velluto, le calze nere le avvolgevano le gambe lunghe. "Sei sicura di volerlo fare?".
"Damian, stiamo insieme da mesi ormai. Ti voglio!". Non indugiai ulteriormente. Passamo al sedile posteriore e in modo molto imbranato e caotico, la feci mettere sotto di me, chiedendole spesso se stava bene o se stavo sbagliando qualcosa. Lei aveva già avuto un'esperienza sessuale prima di allora, mentre io ero inesperto. "Vai alla grande".
Durante l'amplesso, o più che altro 'esercizio fisico', il cellulare vibrò dal cruscotto. "Non rispondere" mugugnò Amanda nella mia bocca, intanto che le mie mani la afferravano per la nuca colma dei suoi capelli biondi voluminosi. "Devo. Ti ricordo che Ana è da sola a casa". Mi lasciò rispondere, mettendosi a sedere. Non riconobbi il numero sullo schermo, quindi immediatamente aprii la chiamata. "Abbiamo provato a rintracciarla a casa, ma nessuno ha risposto".
"Non sono a casa" spiegai, guardandomi intorno. "Chi parla?". "La chiamo dal Saint Mary. C'è stato un incidente". "Incidente?" mi voltai verso la mia ragazza. Si mostrò preoccupata, portandosi la mia camicia sul seno. "Si, qualche minuto fa i suoi genitori sono stati portati qui in seguito ad un incidente stradale. La loro macchina si è ribaltata sulla strada per l'aeroporto". Mi domandai il motivo per cui si trovavano lì. "Loro come stanno?". "Sono in sala operatoria. Dovrebbe venire qui". Chiusi la chiamata, avvertendo Amanda. "C'è Anastasia da sola a casa".
"Mi occupo io di lei. Tu vai all'ospedale" le sorrisi, lasciandola a casa mia. Poi mi diressi velocemente all'ospedale. Quando arrivai, mamma e papà erano ancora sotto i ferri. "Come sono le loro condizioni?". Domandai all'infermiera che mi aveva chiamato. "Hanno subito dei gravi traumi alla spina dorsale. Sua madre ha avuto un trauma cranico. L'incidente sarebbe dovuto essere fatale. Le condizioni dell'auto erano pessime. Può parlarne con lo sceriffo che li ha trovati. E' in sala d'attesa". "Voglio sapere come stanno i miei genitori!". Attesi ancora un paio d'ore prima di ricevere riscontri.
Il dottore tornò da me. "Signor Dobovan?". "Allora? Ci sono novità?". "Sì..." la vidi riprendere fiato e tirare un grosso respiro "...sono usciti dalla sala operatoria e...". "Posso vederli?" la interrogai senza farla finire di parlare. Ricordo che ero scosso e febbricitante. Non ero in me e non riuscivo ad udire alcun rumore oltre le tempie che mi stavano pulsando. "Non c'è stato nulla da fare. Non ce l'hanno fatta".
"Come?" balbettai, brontolando parole senza senso. Ad un certo punto urlai, chiedendo ai dottori di farmi vedere i miei genitori. Erano ancora nella sala operatoria, distesi esanimi sul lettino. Da quel giorno in poi, avrei ricordato solo la loro morte e non la mia prima volta. Per molto tempo ero rimasto traumatizzato dall'esperienza, tanto da evitare tutte le ragazze. Amanda mi restò accanto per i primi mesi del lutto, aiutandomi con il funerale e la vendita della casa. Fu al mio fianco quando dovetti raccontarlo a mia sorella. Durante la veglia, trovai qualcosa nella giacca del mio smoking. Era una spilla rotonda, con una X nera su sfondo rosso. Era stato una specie di avvertimento da parte di mia madre. Stava cercando di dirmi che la loro morte non era stata casuale. Era voluta, perché mio padre si era fatto parecchi nemici a lavoro. Solo quando compii venti anni, accettai di ipotecare tutti i beni che i miei mi avevano lasciato. Ero ancora quel ragazzo ricco con il padre arrogante, ma potevo cambiare il mio futuro e ricominciare da capo. Non spesi nemmeno un soldo del mio fondo fiduciario. Cercai un lavoro, e nel tempo libero mi dedicai a delle ricerche sull'assassino dei miei genitori.
Nessuno seppe mai darmi una risposta. Nella sua azienda era calato il silenzio. "Segreto professionale" avevano spiegato la maggior parte dei suoi dipendenti, fregandosene della mia situazione. Ero solo un ragazzo orfano che doveva occuparsi della sorellina di tredici anni. La spilla diventò il mio promemoria, affinché non dimenticassi mai che cosa avevano fatto ai miei genitori. La ricerca non sarebbe mai finita, non avrei mai avuto una risposta e mi sarei portato il segreto nella tomba.
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𝐃𝐚𝐦𝐢𝐚𝐧 | 𝐒𝐞𝐛𝐚𝐬𝐭𝐢𝐚𝐧 𝐒𝐭𝐚𝐧
General FictionGeorgia Beck desidera diventare una psicologa. Trasferitasi a Sofia per lavoro, trascorre la maggior parte del suo tempo in ufficio, con l'obiettivo di veder realizzato il suo sogno. Una sera, sulla strada per tornare a casa, un uomo la aggredisce...