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A questo punto, mi servirebbe qualcuno come Tim per avere più informazioni riguardo Nate. Cercare il suo numero di telefono e triangolarlo. L'agente al distretto di polizia di Vladivostok è stato molto gentile con me, però questa non è una cosa che posso chiedere ad uno sconosciuto. Devo scordarmi dell'aiuto di Tim. Dovrò cavarmela da solo come ho sempre fatto. Torno alla vecchia abitazione di Anastasia, tentando di parlare con la vicina. Devo scandire le parole per farmi capire e spero che funzioni. Sono certo che lei sa più di quanto vuole far vedere. Busso alla sua porta stavolta, passando immediatamente alle maniere forti. "Mi dica dov'è". Lei è perplessa ma si ricorda di me. Lo capisco dal modo in cui mi guarda. È spaventata e tenta di chiudermi la porta in faccia. "Ya pozvonju politsija". Comprendo che vorrebbe chiamare la polizia. Mi innervosisco ancora di più, digrignando i denti. "Non ho paura della polizia. Nate Anderson. Mi dica dove cazzo si trova".
"Ne znaju" tira su con il naso "Plohoj Nate Anderson".
"Che cosa?" la signora non ripete quello che ha appena detto. Ha nominato Nate ma non ho compreso il contesto. Vorrei che Georgia fosse qui adesso, o almeno avrei voluto studiare russo. "Non parla nulla oltre il russo" dice una voce femminile dietro di me. "Lei mi capisce?" annuisce, mentre passa la scopa sul vialetto. "Ho vissuto a New York fino a due anni fa, aspetti..." La vedo entrare in casa sua, per poi raggiungermi. "Bene, mi dica cosa vuole sapere dalla signora Petrovicj".
"Ha nominato un certo Nate Anderson prima, con una parola tipo plochi, plokej...".
"Plohoj" mi corregge, serrando le labbra. "Vuol dire diavolo".

"Perciò sa qualcosa sul suo conto

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"Perciò sa qualcosa sul suo conto. Le chieda se le ha mai fatto qualcosa o se ha fatto qualcosa ad Anastasia".
Le donne parlano tra di loro ed io posso solo guardare i loro labiali muoversi, percependo parole senza senso. "Ha detto che lei raccoglie i soldi per pagare il condominio. Quando passava da Nate, lui le sbatteva sempre la porta in faccia. Una volta le ha fatto uno sgambetto sulle scale...". Bastardo.
"Sa qualcosa di dov'è lui adesso?".
"Ha paura a parlare. Dice che se dovesse rivelare qualcosa, lui tornerebbe e la ucciderebbe".
"Mia sorella è in ospedale per colpa sua. Si faccia subito dire dove caspita si trova" la donna trattiene il respiro, spaventata dal mio modo di parlare. "Mi scusi, non volevo. Ma è fondamentale per me sapere dove si trova" la donna annuisce, carpendo informazioni dalla signora russa.
"Lui si è trasferito qualche mese fa, ma la sua posta arriva ancora qui" mi precipito alla sua cassetta prendendo le buste. Una di queste proviene dall'ufficio postale. Parla di un cambiamento di residenza. "Bene, ci siamo". Ringrazio la donna e chiamo un taxi, consigliando all'autista di affrettarsi.
Sono al suo indirizzo in meno di mezz'ora. È poco distante dall'ospedale. Chissà se sa che Anastasia è a pochi chilometri da lui. Trattengo il respiro prima di raggiungere il cancello. Sul citofono non c'è scritto il suo nome, ma per sua sfortuna io so che è qui. Lo sento. Poso la mano sulla pistola che ho nella tasca posteriore dei jeans.
Ebbene sì, ho preso in prestito la pistola di Georgia. Ne farò buon uso.
Apro lentamente il cancello, camminando furtivamente verso la porta d'ingresso. Bussare sarebbe troppo cordiale. Devo trovare un altro modo per entrare in casa.
Controllo nei dintorni, notando un'uscita posteriore sul retro della casa. Indietreggio, raggiungendo il giardino. La porta è semi aperta. Il bastardo è in casa.
Mi ritrovo nella cucina, osservando la stanza. I piatti sporchi sono ancora nel lavabo, il pavimento ha le piastrelle di colori diversi. Cammino in punta di piedi, controllando le camere una ad una. "Ti aspettavo" brontola una voce dal soggiorno. Alzo la pistola, dito sul grilletto. Nate è seduto sulla poltrona con un ghigno sardonico stampato sulla faccia.

"Mio carissimo cognato

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"Mio carissimo cognato. È da tempo che volevo rivederti".
"Sta zitto, Nate. Se mi aspettavi, vuol dire che sai perché sono qui" annuisce. È disarmato. Potrei sparargli adesso, ma preferisco ricevere delle risposte prima.
"La tengo ancora d'occhio ed uno degli infermieri è un mio vecchio amico del liceo, perciò mi ha informato del tuo arrivo".
"Non ci si può più fidare di nessuno" dico a mo di frecciatina. "Già. Parole sante" Nate si alza, dandosi la spinta con le mani sui braccioli. "Lei ti amava, lo sai?" gli dico, labbra arricciate.
"Lo so bene. E anche io l'amavo, ma ad un certo punto ho dovuto fare una scelta. Lei non l'ha rispettata ed ha iniziato ad aver paura di me. Ha comprato una pistola. Abbiamo litigato, perché aveva deciso di tornare da te in Bulgaria. Quella sera stava andando in aeroporto. E poi, bum. È successo tutto così in fretta. La sua auto ha colpito un palo ed io sono scappato via..." digrigno i denti.
"Potresti essere arrestato solo per questo. Omissione di soccorso".
"Pensi che non lo sappia? Mi sto nascondendo per questo, idiota". Mi avvicino a lui, tenendo ancora la pistola all'altezza delle spalle. La canna puntata al suo cuore. "Mi dispiace, Nate. Ho smesso di crederti tanti anni fa...".

"Ma intanto mi aiutavi con le rapine"

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"Ma intanto mi aiutavi con le rapine".
"Un mio errore madornale. L'ho fatto solo per Anastasia, ma adesso lei è fuori dalla tua vita perciò posso liberarmi di te".
"Io non sarei tanto sicuro di questo" all'improvviso si butta su di me, facendo volare la pistola sul lato opposto della stanza. È pesante, massiccio. Non riesco a divincolarmi. La sua mano raggiunge il divano e all'improvviso afferra un coltello dalla lama affilata. La teneva nascosta.
"Cosa hai intenzione di fare, Nate? Uccidermi?".
Mi blocca sul tappeto con un braccio premuto sulle scapole.
"Non sarebbe la mia prima volta" dichiara, posando la lama sul mio collo. "Fallo, se hai il coraggio". I suoi occhi sono pieni di rabbia e odio. Mi lascia un taglio sottile sotto il mento. "È tutto quello che sai fare?" domando con voce soffocata. Riesco a dargli una gomitata sul suo bel faccino, facendolo finire con il culo per terra. Mi alzo, raggiungendo la finestra per cercare la pistola. Odo dei passi, quindi mi volto repentinamente. Nel mentre, qualcosa di ghiacciato mi trapassa dal fianco alla schiena. Nate è inginocchiato difronte a me, con il coltello tra le mani e un ghigno malefico. "Adesso non minacci più, cognato". Con la mano mi sfioro la pancia. La mia vista è sfocata ma riesco a vedere le mie dita insanguinate. Se lo colpissi adesso, non se lo aspetterebbe. Con un movimento fulmineo afferro il manico del coltello e glielo punto verso il cuore. Siamo entrambi in ginocchio, uno di fronte all'altro. "Solo uno di noi uscirà vivo da qui..." mugugna Nate sogghignando.
"O magari, nessuno dei due" Nate si fa serio, per la prima volta è spaventato. È così, non avevo intenzione di uscirne vivo. Avrei dovuto salutare Georgia e dirle che non avevo intenzione di rivederla. La vendetta è un piatto che va servito freddo. È così che dicono. Ho aspettato troppo a lungo per fare giustizia. Anastasia merita una vita felice e serena, cosa che non comprenderà me.
Il coltello trapassa il torace di Nate. Lo infilo in profondità, sentendolo contorcersi sotto di me.
Il suo corpo piazzato e pesante sussulta dal dolore, mentre sputa sangue. In pochi secondi, è immobile. Gli occhi vitrei e spenti sono spalancati. Senza vita.
Raggiungo carponi la porta d'ingresso, tenendo la mano premuta sul fianco. L'ospedale è vicino, posso raggiungerlo.
Auto e furgoni mi sorpassano, non facendo caso al ragazzo in fin di vita. In pochi minuti, la mia vista si affievolisce, scorgendo in lontananza le luci blu e rosse dell'ambulanza.
Perdo i sensi, svenendo sul marciapiede.
Questo non è un buon posto per morire ma, a quanto pare, dovrò farmene una ragione. Soffoco un pianto, intanto che un volto gentile e familiare mi appare davanti.
Georgia. Non la rivedrò più, non le dirò più che la amo, non la abbraccerò più mentre dorme, non faremo più l'amore. "Mi dispiace" brontolo, poco prima di chiudere gli occhi.

𝐃𝐚𝐦𝐢𝐚𝐧 | 𝐒𝐞𝐛𝐚𝐬𝐭𝐢𝐚𝐧 𝐒𝐭𝐚𝐧Dove le storie prendono vita. Scoprilo ora